PANZER DRAGOON: il capolavoro SEGA a cui nessuno ha giocato

Panzer Dragoon è una serie in parte sconosciuta, in parte dimenticata. Ripercorriamo la sua storia insieme in questa ricca retrospettiva

PANZER DRAGOON: il capolavoro SEGA a cui nessuno ha giocato

Ahhh, SEGA! Già solo leggere o sentire un nome del genere evoca nella mente dei giocatori di tutto il mondo una varietà di cose: il celeberrimo porcospino blu Sonic, le meravigliose console del passato, i cabinati, oppure la feroce console war con Nintendo della prima metà degli anni ‘90. Ma a quante persone suscita il ricordo vivido di Panzer Dragoon? Molto pochi, probabilmente.

I motivi per cui questa serie è passata quasi inosservata in Europa (con un successo appena maggiore negli Stati Uniti e molto più importante in Giappone) sono un insieme di coincidenze astrali, mal gestione di progetti, brutali scelte di marketing e anche un pizzico di sfortuna. Tuttavia, come analizzeremo in questo articolo, non mancò mai la passione, né il talento degli individui che presero parte alla creazione di questi giochi.

Ma per fare tutto questo bisogna prima porci una domanda: cos’è Panzer Dragoon? L’unico modo per rispondere è guardare alla sua storia di pubblicazione e al contesto in cui sono usciti i titoli della serie, perché la storia che ci stiamo apprestando a rivivere è legata in maniera indissolubile alla console d’origine. Questa è quindi la storia dimenticata del talentuoso Team Andromeda, del Saturn e di Panzer Dragoon.

Storia di una console dimenticata

È la fine del 1994 e in Giappone è appena uscita la nuova console di casa SEGA, il Saturn. Le aspettative per questa nuova macchina sono enormi per il colosso del Sol Levante e bisogna non più competere solo contro Nintendo, ma anche contro un nuovo e inaspettato concorrente che ha mostrato fin da subito gli artigli: PlayStation è arrivata sul mercato e ha avuto alle sue spalle un’imponente campagna pubblicitaria come non se ne erano mai viste nel settore videoludico. Ma non è tutto ciò che ha dalla sua: l’ammiraglia di Sony è infatti una console molto potente per gli standard dell’epoca e si è assicurata un numero notevole di supporto di terze parti.

SEGA non può finire schiacciata da tutto ciò e decide che per il Saturn adopererà due nuove strategie: prima di tutto non puntare più così tanto sugli Stati Uniti e l’Europa (sicuri del fatto che i fan fidelizzati del Genesis/Mega Drive rimarranno dalla loro) e riporre tutti i suoi sforzi sul mercato domestico, dove non a caso le vendite iniziali della nuova console sono ottime. La seconda strategia è azzardata: per una nuova macchina servono nuovi giochi, se mai arriverà un nuovo Sonic o un nuovo Phantasy Star (spoiler: non arriveranno mai per questa console), sarà solo a ciclo inoltrato. Bisogna invece puntare su giochi che mostrino nuovi approcci di SEGA sia alla componente più ludica che alle capacità tecniche del Saturn. Addirittura, pur di competere con la potenza di calcolo superiore di PlayStation, viene aggiunto quasi all’ultimo momento un secondo processore per la grafica, che sarà ironicamente una delle concause del fallimento della macchina, che la resero ostica dal punto di vista della programmazione.

PANZER DRAGOON: il capolavoro SEGA a cui nessuno ha giocato

Queste scelte portarono a decine di problemi per il povero Saturn. La console era infatti poco diffusa al di fuori del Giappone, con poche unità vendute negli Stati Uniti e quasi del tutto assente in Europa. Inoltre, le vere e proprie gemme videoludiche che uscirono fuori seguendo la filosofia dei nuovi tipi di giochi voluta da SEGA, ne risentirono proprio per la poca diffusione della console. Senza contare serie famose come Virtua Fighter (già note al pubblico per via dei cabinati), altre perle come Nights into Dreams, Radiant Silvergun e Panzer Dragoon rimasero di nicchia e che solo con il passaparola e la loro comparsa su altre console riportarono alla luce.

Non aiuta neanche che entro la fine del 1998 la stessa compagnia abbandonò quella nave che stava affondando, annunciando i lavori sul Dreamcast, l’ultima grande console che questo colosso avrebbe poi prodotto. Ma dato che questa sarebbe una storia per un altro giorno, facciamo invece un passo indietro e torniamo ai mesi immediatamente successivi al lancio del Saturn.

Il primo Panzer Dragoon non si scorda mai

Panzer Dragoon fu il proverbiale fulmine a ciel sereno per tutti i possessori del Saturn, che per i primi mesi aveva visto una grave penuria di giochi. Si trattava di un rail shooter come non se ne erano mai visti: una grafica poligonale rivoluzionaria che mostrava in pieno le potenzialità della console, un gameplay che restituiva davvero la sensazione di star cavalcando un drago e un mondo affascinante e i cui dettagli venivano solo appena esplorati in quel che era in fin dei conti un gioco molto lineare. Il drago si muoveva da solo attraverso sei livelli (più un breve livello conclusivo che funge da boss finale) e di cui si poteva al massimo tirare le redini per direzionarlo in modo che schivasse gli attacchi. Allo stesso modo era possibile indicargli fino a otto bersagli da puntare e liberare i suoi laser mortali, oltre che a sparare noi stessi tramite la nostra arma. I nemici arrivavano da ogni direzione e la libertà di muovere la telecamera per guardarci di lato o dietro, offriva una visione totale del campo di battaglia mentre il drago sfrecciava nei cieli.

Panzer Dragoon è ambientato in un mondo post-apocalittico e a dominare la vita dei pochi superstiti a una terribile catastrofe non meglio specificata vi è l’Impero, che ha costruito la propria fortuna riuscendo a mettere le mani su misteriosi artefatti con tutta probabilità appartenuti a una civiltà scomparsa. Capendone poi l’utilizzo ha iniziato a cercare le misteriose “torri” che si dice contengano armi e poteri ancora più grandi. Tra le altre cose scoprono anche i draghi, che non sono intesi nel senso occidentale o “fantasy” del termine, ma come esseri per metà biologici e per metà sintetici, in grado, come detto, di sparare potenti laser per abbattere i propri nemici. Ma non è tutto: un’altra caratteristica è che sono i draghi a scegliere il proprio “cavaliere” (se così vogliamo chiamarlo) e non il contrario.

Ogni cosa, tuttavia, è mostrata al giocatore non tramite una narrazione lineare (nonostante la presenza di filmati), ma soprattutto attraverso l’estetica del gioco. Il mondo presenta architetture che rivelano la grandezza delle civiltà del passato, ci vengono mostrate città semi-affondate, gargantuesche rovine di macchinari che esploreremo e le cui antiche difese si riattiveranno per fermare chiunque entri a disturbare il loro “sonno”. Gli stessi nemici sono composti da bestie che abitano gli ambienti che attraverseremo o da macchine che vengono riutilizzate dall’impero per fermarci. Il tocco di classe finale è dato dal fatto che l’ambizioso Team Andromeda che diede i natali alla serie creò una lingua immaginaria chiamata “panzarese” in cui tutti i personaggi si esprimono nei (pochi) dialoghi, scelta che permise ai giocatori di immergersi ancora di più.

Lo svolgimento del gioco è semplice: mettendoci nei panni di Kyle, la nostra vita verrà salvata da uno dei draghi dell’impero, che ci sceglierà dopo la morte del suo precedente cavaliere. Nel farlo, noi stessi ci inimicheremo il potente impero (alla ricerca del drago) e dovremo fuggire in groppa al nostro compagno, affrontando ogni cosa che ci verrà lanciata contro. L’avventura principale richiedeva appena un’oretta a mezza per essere terminata, ma Panzer Dragoon mostrava i suoi punti di forza tramite una difficoltà sempre crescente, quando negli ultimi livelli diveniva davvero impegnativo. Le vite limitate non facevano che accentuare la longevità com’era d’altronde prassi nei giochi dell’epoca (e come del resto SEGA sapeva bene data la sua militanza nei cabinati delle sale giochi).

In definitiva, il Saturn poteva anche essere meno performante nella resa visiva finale se paragonato a PlayStation, ma riuscì a mostrare come gli effetti su schermo e la frenesia di un gioco come Panzer Dragoon potesse trasparire dai suoi bizzarri due processori e proporre un gameplay fresco in un’ambientazione misteriosa e accattivante. Facendosi inoltre aiutare dall’artista francese Mœbius (pseudonimo di Jean Giraud) per i suoi concept art e dal genio di Yoshitaka Azuma per le sue musiche, il titolo rimane tutt’ora una pietra miliare del SEGA Saturn che (incredibile a dirsi) verrà addirittura ampliato e superato dai suoi seguiti.

Più bello, più grande, più d’atmosfera

Era solo ovvio che SEGA volesse capitalizzare sull’ottimo riscontro del precedente, dando il via libera a Team Andromeda ai lavori di Panzer Dragoon Zwei, uscito ad appena un anno di distanza dal primo, nel 1996. Anch’esso un rail shooter, il secondo capitolo ampliava ogni singolo aspetto del primo e lo faceva in maniera molto intelligente.

Per prima cosa, per rispondere ad alcune critiche riguardo la difficoltà, il gioco presentava un originalissimo calibratore di difficoltà che si legava in maniera stretta alle meccaniche: in base al nostro rendimento, verso la metà di ogni livello il gioco avrebbe intrapreso due possibili route, una più accessibile e una più impegnativa. Questo, oltre a mitigare la difficoltà di certi passaggi, rendeva molto più rigiocabile e meno lineare il titolo. A tutto ciò venne aggiunta anche la possibilità di salvare la partita nel caso ci si volesse fermare nel mezzo di un livello e non si desiderasse ricominciare tutto da capo (nonostante il gioco durasse comunque poco, come il primo).

Ancora una volta siamo nel misterioso mondo creato da Team Andromeda, ma in un’avventura che si pone come prequel della storia di Kyle. Il protagonista è Lundi, che si ritrova ad accudire un cucciolo di drago che in maniera inconsapevole gli salverà la vita: durante una sessione d’addestramento fuori dal villaggio, l’Impero rade tutto al suolo. Inizierà quindi un viaggio per inseguire la misteriosa Shelcoof, ovvero l’ammiraglia imperiale che ha portato via le persone care a Lundi. Si tratta quindi di una lineare storia di vendetta, ma che sovverte il presupposto del gioco precedente: ora non siamo noi a essere inseguiti dall’Impero, ma siamo gli inseguitori.

A fare da sfondo a tutto ciò ci sarà la crescita di Lagi, ovvero il drago di questo capitolo, che inizierà (incredibilmente) appiedato e ben lontano dalla magnificenza che ci si aspetta da un drago. Ma ecco che, nel corso dei primi livelli il nostro piccolo amico si getterà nel vuoto e spiccherà il volo con noi in groppa, dando vita a uno dei momenti più memorabili della serie. Panzer Dragoon Zwei ancora una volta si basa infatti molto sull’estetica e l’aspetto visivo per narrare la sua semplice storia, il tutto accompagnato da un’ancora più roboante colonna sonora, stavolta firmata dal genio di Yayoi Wachi, che completa ogni scorcio del titolo con un accompagnamento musicale da brividi e che rende questo secondo capitolo uno dei titoli più d’atmosfera di sempre.

Panzer Dragoon Zwei

Il vero genio di Wachi emerge per una scelta ben precisa, ovvero quella di non comporre in maniera tradizionale la colonna sonora, ma invece avvalendosi della modulazione a impulsi codificati del Saturn, che in soldoni vuol dire che la compositrice utilizzò l’hardware stesso della console per generare la maggior parte dei suoni degli strumenti. In definitiva un gioco memorabile che continuò ad aiutare la console a non sprofondare. Ma all’orizzonte c’era una nuova minaccia per SEGA, un gioco che, così come la console su cui stava per uscire, ricevette una campagna pubblicitaria mastodontica e che già aveva un’ampia schiera di fan fidelizzati: FINAL FANTASY VII.

Il passo più lungo della gamba

Durante gli inizi della lavorazione di Panzer Dragoon Zwei, SEGA incaricò a un’altra frangia del Team Andromeda di aprire i lavori su un RPG ambientato nel mondo della serie, in modo da ampliarne la storia (cosa richiesta a gran voce già dai recensori dell’epoca) e anche poter rivaleggiare con il colosso di Square. A guidare il progetto ci sarebbe stato Yukio Futatsugi, ovvero l’ideatore originale dell’universo di Panzer Dragoon. Fu così che i due progetti partirono quasi in contemporanea.

Il gioco si sarebbe chiamato Azel: Panzer Dragoon RPG (anche se al di fuori del Giappone fu rinominato Panzer Dragoon Saga) e avrebbe dovuto essere la summa di tutto il lavoro di Team Andromeda, nonché gioco di punta del SEGA Saturn. Nonostante la forte pressione affinché il gioco venisse pubblicato entro il 1997 per far fronte a FINAL FANTASY, Saga non vide la luce prima dell’inizio del 1998 in Giappone e da aprile in poi nel resto del mondo, con uno sviluppo durato ben tre anni e con un team di più di quaranta persone, numeri inconcepibili per l’industria dell’epoca, sia in termini di tempistiche che di individui.

Anche il budget fu ampiamente sforato, tant’è che il titolo uscì nei negozi quasi del tutto privo di una campagna pubblicitaria e con una tiratura limitata negli Stati Uniti e ancora più irrisoria in Europa (si conta che per il mercato europeo SEGA avesse stampato solo 1000 copie del gioco). Questo fa di Panzer Dragoon Saga un oggetto da collezione inestimabile (un po’ meno la versione giapponese). A corroborare l’incredibile sfortuna di un gioco fatto con così tanto amore e dedizione ci fu il fatto che entro il 1998 SEGA annunciò il Dreamcast, decidendo quindi di lasciare affondare il progetto Saturn, e Saga con esso.

Come risultato, Panzer Dragoon Saga è tristemente noto come “uno dei più grandi RPG a cui (quasi) nessuno ha giocato”. Le recensioni dell’epoca furono entusiaste, assegnandogli voti altissimi e lodando la grafica, il gameplay e la storia, tutti fattori che mescolati insieme diedero vita a uno degli RPG più atipici, originali e ben costruiti della storia.

Cosa fu quindi Panzer Dragoon Saga al di là della sua sfortuna? Si trattò di un titolo anti-mainstream, e che quindi forse lo portò ad alienarsi possibili fan, abituati a estetiche fantasy ben diverse. Saga presentava una storia all’apparenza semplice: Edge fa parte di una compagnia di mercenari che viene assoldata dall’Impero per fare da guardia a delle rovine della già citata civiltà scomparsa. All’interno di suddette rovine viene scoperta una ragazza che giace “fusa” con un muro e che sembra essere addormentata da secoli (se non millenni). Ma ecco che all’improvviso una delle navi imperiali, guidata dall’ammiraglio Craymen, volta le spalle all’Impero e ai mercenari e fa fuoco su tutti i presenti pur di appropriarsi della misteriosa ragazza. Edge è l’unico sopravvissuto (salvatosi grazie all’intervento di un drago) e giura di vendicarsi di Craymen.

Ancora una volta il gioco inizia come una semplice storia di vendetta, evolvendo poi in ben altro e portando al centro dell’attenzione non solo Edge, ma anche Azel (ovvero la ragazza nel muro, co-protagonista della vicenda) da cui prende il nome la versione giapponese. Ed è qui che tra ribaltamenti di prospettiva dei personaggi, epiche battaglie nei cieli, introspezione e addirittura una rottura della quarta parete, Saga si configura come uno dei picchi del genere, raccontando con delicatezza una storia semplice ma piena di amore, di umanità ma soprattutto ambigua.

Se nel tentativo di evitare spoiler vi sentite confusi, ma la vostra curiosità è stata stuzzicata, forse allora sarebbe il caso di tentare di recuperare questa perla per Saturn, purtroppo mai più ripubblicata per nessun’altra macchina (alcune dicerie affermano che il codice sorgente del gioco sia andato perduto, ma non si sa nulla sulla veridicità di questa cosa). Dato che però trovare un Saturn può essere ostico, e mettere le mani su una copia di Saga è quasi impossibile, potrebbero esserci altri metodi…

Ma al di là di ciò, come si poteva creare un RPG da un rail shooter, rimanendo al contempo fedeli con l’idea di combattere in aria, in groppa a un drago? Come si poteva pensare di aggiungere varietà a un gioco in cui vi era un solo personaggio giocabile e un solo drago? Ecco che in soccorso di Team Andromeda giunge Akihiko Mukaiyama, direttamente dal team di Panzer Dragoon Zwei. La sfida più grande era riuscire a traslare uno shooter frenetico in un sistema di gioco tattico e metodico. Mukaiyama presentò vari prototipi finché non ideò questo sistema: il giocatore si sarebbe potuto muovere intorno ai nemici in un quadrante diviso in quattro zone che coprivano quattro diverse angolazioni. Ogni angolazione aveva dei vantaggi e degli svantaggi (come ad esempio essere più o meno esposti ai danni nemici o viceversa far sì che il nemico fosse più o meno esposto ai nostri) e talvolta muovere la posizione del giocatore tramite alcune mosse avversarie in modo da rendere sempre frenetico il gameplay.

Ma questo di per sé non era sufficiente e Mukaiyama implementò altre due meccaniche: le mutazioni del drago e la barra delle azioni. La prima consentiva di cambiare in tempo reale i punti di forza e deboli del drago tramite un menù accessibile sia fuori che dentro le battaglie così da migliorare una caratteristica del drago a scapito di un’altra in base al tipo di nemico che si affrontava: aumentare l’agilità del drago lo rendeva più veloce, ma abbassava drasticamente le sue difese. Viceversa renderlo più coriaceo aumentava la difesa, ma lo rallentava. E infine la barra delle azioni che poteva caricarsi fino a tre volte e che consentiva a quel punto di compiere un’azione: attaccare con i laser del drago, con l’arma di Edge, oppure con una delle mosse speciali che a volte richiedevano anche tutta la barra. Sapere quando usare una cosa o l’altra era uno dei cardini del gameplay di Panzer Dragoon Saga, che combinato con tutti gli altri elementi creava un sistema di combattimento davvero unico e come non se erano mai visti prima (e come non se ne sarebbero visti dopo, del resto).

L’ambizione non finiva qui: Saga, nonostante sia un RPG breve rispetto alla norma (durando circa una ventina di ore), offriva un doppiaggio completo (rarità per l’epoca, specie per giochi così grandi), un gran numero di filmati che veicolavano la storia, e un aspetto grafico che spremeva il Saturn ben oltre i suoli limiti. Ancora una volta la colonna sonora fu una parte integrante per la costruzione dell’atmosfera generale. Questa volta firmata da Saori Kobayashi, riprendeva (e talvolta rielaborava) non solo temi dai giochi precedenti, ma creava una vera e propria nuova narrazione musicale che accompagnava le incredibili immagini su schermo. Le epiche battaglie aeree erano infatti accompagnate da colonne sonore adrenaliniche ma che rispettavano in maniera fedele gli stilemi consolidati dai due giochi precedenti.

Non è possibile però scindere il gioco dagli infernali tre anni di sviluppo che portarono alla sua uscita. In recenti interviste, lo stesso Futatsugi ricorda ancora quei tempi affermando che ogni volta che egli incontra difficoltà nella quotidianità o nel lavoro ripensa a quanto è stato duro portare alla luce Saga, ribadendo a sé stesso che nulla potrà mai essere peggio di quel periodo della sua vita. Nel corso dei tre anni ben due membri del Team Andromeda morirono, per motivi più o meno collegati allo sviluppo: uno di loro morì in un incidente stradale per motivazioni che Futatsugi attribuì a un attacco di sonno alla guida, e un altro membro per un suicidio dopo un lungo periodo di depressione esacerbato dagli estenuanti ritmi lavorativi richiesti per portare il progetto a compimento.

A fronte anche di queste tragedie il team era distrutto ed esausto e nonostante il duro lavoro e i sacrifici messi in questo progetto, ne venne fuori un gioco che nonostante fu adorato dai pochi che lo giocarono, fu trattato con indifferenza se non addirittura freddezza da SEGA, che di lì a poco avrebbe già voltato pagina. Nel periodo intermedio tra la fine dei lavori per Saga e la sua uscita, Futatsugi lasciò l’azienda.

Panzer Dragoon Orta

Dopo il seguente dismembramento di Team Andromeda e la fine del Saturn, si persero le tracce di Panzer Dragoon per alcuni anni. In realtà molti del team originale entrarono a far parte di Smilebit, che tramite un sodalizio con Microsoft, ottenne il via libera per un nuovo titolo in esclusiva per la prima Xbox. Fu in questo contesto che nacque l’ultimo capitolo (ad ora) della serie: Panzer Dragoon Orta, datato 2002 (2003 nel resto del mondo). Il nome di questo gioco si ricollega all’omonima protagonista che dopo un lungo tempo di prigionia nelle galere imperiali viene liberata da un drago.

Nonostante un ritorno al rail shooter, Orta ha una narrazione molto più preponderante dei primi due capitoli e ha riferimenti e collegamenti a tutti i giochi della serie, Saga compreso. Il titolo si presentava con il solito gameplay ben noto ma alcuni ritocchi che riprendevano delle intuizioni di Saga come le forme del drago, che era possibile cambiare al volo anche qui, con diverse capacità e punti deboli.

Il tutto era coadiuvato da una grafica ben più avanzata dei suoi contemporanei (grazie anche alla superiore capacità di calcolo della prima Xbox) e l’ennesima, splendida colonna sonora, firmata di nuovo da Saori Kobayashi, con la collaborazione di Yutaka Minobe. Anche sul fronte della longevità il gioco faceva di più (nonostante fosse comunque breve), e non durava meno di due ore come i primi, ma si aggirava intorno alle quattro. Una serie di modalità extra e una campagna alternativa in cui era possibile impersonare un soldato imperiale allungavano in maniera ulteriore il tempo di gioco.

In generale Orta fu considerato uno dei migliori titoli per Xbox, ma nonostante ciò fallì a imporsi come killer app e come trampolino di lancio per la rinascita della serie, forse anche per il fatto che rispetto alla PS2, la console non era così diffusa, specie in Giappone dove Microsoft non è mai riuscita a entrare in maniera capillare nel mercato.

Ancora una volta, pare che il destino di Panzer Dragoon fosse quello di fallire nelle vendite, ma di venire idolatrato da giocatori e recensori allo stesso modo, ritagliandosi lo status di cult in un pubblico di nicchia con un amore sconfinato per questo tipo di gameplay adrenalinico e spettacolare, e un mondo misterioso e affascinante. 

Cosa ci resta di Panzer Dragoon?

Siamo nel 2023 e dopo un inaspettato (e insperato) annuncio di remake dei primi due titoli, cosa ci resta di Panzer Dragoon? Ci resta prima di tutto un Panzer Dragoon Remake (che abbiamo recensito alcuni anni fa) al di sotto delle aspettative, un Panzer Dragoon Zwei Remake perso nel tempo dopo che ne era stato assicurata l’uscita alcuni anni fa, l’RPG il cui codice si dice sia andato perduto, e… ricordi.

Ricordi di un’era videoludica passata, di un talentuoso team di persone che contro ogni avversità ha dato vita a una serie influentissima (Drakengard e NieR devono a Panzer Dragoon più di quanto Yokō Tarō voglia ammettere), amata da chiunque abbia avuto la fortuna di metterci le mani, ma dimenticata nei meandri delle uscite videoludiche e vissuta all’ombra di giochi più famosi.

Di Panzer Dragoon resta anche l’amarezza di un mercato che non sempre riesce a salvaguardare i giochi. Se si pensa a quanto sia difficile, oggigiorno, poter giocare a Saga e il fatto che questo gioco sia praticamente inaccessibile, non si può non chiedere ad alta voce che qualcuno faccia qualcosa per preservare queste opere del passato. Non solo per il loro valore nel medium, ma anche per rispetto agli individui che vi hanno lavorato.


Questo articolo è stato parzialmente ispirato dal video dello youtuber Michael Saba, in unione alla mia personale relazione con questa serie di giochi. Se non temete spoiler date un’occhiata alla sua opera di ricostruzione.

Classe 1993, cresciuto a pane e videogiochi. Ha studiato musica durante la sua adolescenza per poi appassionarsi alla cultura giapponese, studiare la lingua e andare a vivere in Giappone per studio e lavoro. Nella vita di tutti i giorni è un traduttore freelance, Dungeon Master e videogiocatore incallito. Tra le altre sue passioni, il cinema, la tecnologia e le lingue in generale.

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