MIRAI – Recensione del film di Mamoru Hosoda

L’ultimo capolavoro di Mamoru Hosoda e dello STUDIO CHIZU è approdato nei cinema italiani questo ottobre: ecco la nostra recensione di MIRAI

MIRAI - Recensione del film di Mamoru Hosoda

Summer Wars, La ragazza che saltava nel tempo e Wolf Children — Ame e Yuki i bambini lupo sono solo alcuni dei titoli che portano la firma di Mamoru Hosoda, classe ’67 e co-fondatore dello STUDIO CHIZU. Un esponente del cinema d’animazione giapponese che non ha bisogno di essere considerato l’erede di più illustri nomi di vecchia scuola, ma che un lungometraggio dopo l’altro si sta ritagliando il proprio posto all’interno del panorama cinematografico del Sol Levante.

Quello che abbiamo avuto il piacere di vedere nei cinema nostrani in questi giorni è il suo ultimo lavoro: Mirai no Mirai (未来のミライ, Mirai del futuro), uscito in Giappone lo scorso luglio (dopo la prima di Cannes a maggio) e arrivato in questi giorni da noi in Italia col più semplice titolo di “Mirai. La storia alla base di Mirai è semplice, ma allo stesso tempo stratificata e verrà compresa appieno solo al termine della pellicola, quando il regista scopre le carte rivelando ciò che si cela dietro gli strani avvenimenti a cui assisteremo per una piacevolissima ora e mezza all’insegna della meraviglia, del divertimento, della nostalgia e della curiosità.

MIRAI - STUDIO CHIZU / Mamoru Hosoda

Kun, quattro anni, è il primogenito di una coppia di giovani genitori giapponesi. Lui architetto, lei la classica salary-woman; assieme al loro cane Yukko vivono in una casetta stile “mostro di Frankenstein” progettata dal primo, che finirà per espandersi in maniera alquanto inusuale con l’arrivo del bambino, sviluppandosi su piani e soppalchi a metà fra stile orientale e occidentale. La vita dei quattro scorre (più o meno) serena con l’aiuto della nonna materna, che di tanto in tanto farà da baby sitter quando i genitori saranno impegnati fuori casa: per esempio quando, un bel giorno, si ritroveranno in ospedale per dare la luce a una seconda figlia, con l’impazienza e tutte le buone aspettative di Kun. Tuttavia, dopo la meraviglia provata nei primi istanti, il bimbo dovrà presto fare i conti con dei sentimenti mai provati fino a quel momento nella sua giovane vita: la gelosia di non avere più le attenzioni di mamma e papà tutte per sé. Non è ancora in grado di comprendere, infatti, quanto una bambina di pochi giorni sia bisognosa di attenzioni da parte di entrambi i genitori, ma a farlo sentire ancora più escluso saranno i nonni, presi a fotografare la neonata lasciandolo un po’ in disparte.

Kun comincerà a non sopportare più la presenza della sorellina, che di lì a poco verrà chiamata col nome di Mirai, futuro: dopo aver provato a giocare con lei, senza successo, finirà per prenderla in antipatia ed esserne semplicemente geloso. In seguito all’ennesimo dispetto, finirà per perdere le staffe e fuggire in giardino, un appezzamento di terra rimasto vuoto al centro della bizzarra costruzione. Scesi i gradini, dietro l’albero che Kun era abituato a vedere giorno dopo giorno, gli si aprirà davanti un mondo sconosciuto, al centro del quale un trono diroccato sul quale siede un uomo misterioso, che si autoproclamerà il Principe della casa. Cosa sarà successo a Kun? Chi sarà quel misterioso individuo? La risposta a queste domande viene data, in parte, pochi istanti dopo, ma ciò a cui assisteremo per tutta la durata del film avrà una spiegazione solo nelle ultime fasi, come citato in apertura.

Mirai no Mirai è il percorso di un bambino che si ritroverà a dover fare i conti con una situazione inaspettata, con una maturazione troppo precoce per lui, abituato sin dalla nascita ad essere al centro dell’attenzione di tutta la famiglia. Ogni qual volta che i suoi capricci non verranno più assecondati, si ritroverà coinvolto in un’esperienza onirica che gli insegnerà, volta per volta, il vero valore della famiglia, l’importanza di essere un fratello maggiore per Mirai e un figlio non troppo problematico per una coppia così giovane e inesperta. Come nel caso de “La ragazza che saltava nel tempo” Hosoda affronta ancora una volta il tema dei viaggi nel tempo, ma in maniera totalmente diversa. Non sapremo mai se le cose che Kun avrà visto nel corso della pellicola saranno esperienze effettivamente vissute sulla sua pelle o strani scherzi giocati dalla sua fervida immaginazione: l’unica cosa certa è che tutto accade per un motivo e per insegnargli quanto non essere più “l’ultimo arrivato” sia una responsabilità che dovrà prendersi nonostante la sua giovane età.

Con un doppiaggio che potrei definire davvero ottimo curato da Dynit, che distribuisce il film nelle sale italiane grazie all’assodata collaborazione con Nexo Digital, trovo che Mirai sia un prodotto di notevole qualità anche dal punto di vista della realizzazione tecnica, oltre che per la sceneggiatura. Il character design che abbiamo già apprezzato nelle produzioni antecedenti del medesimo studio si mescola sapientemente a una CGI utilizzata per talune riprese dei fondali, per i veicoli e per alcune particolari sequenze come quella dell’acquario, risultando perfettamente integrata e mai fuori posto. La colonna sonora di Masakatsu Takagi, già autore di quella di Wolf Children e The Boy and the Beast, viene impreziosita dai brani cantati di Tatsuro Yamashita (l’opening “Mirai no Theme” e la ending “Uta no Kisha”), due brani evocativi e che definirei pressoché perfetti per l’atmosfera imbastita dal regista.

Conoscere il futuro per apprezzare il presente

Con questo suo ultimo lavoro Mamoru Hosoda ci insegna il significato di famiglia e l’importanza dei ricordi attraverso l’inusuale punto di vista di un bimbo di soli quattro anni, che imparerà ad accettare la presenza di un altro membro della famiglia bisognoso di attenzioni e il suo ruolo all’interno della vita di sua sorella minore, viaggiando attraverso il passato e il futuro della propria famiglia. Kun incontrerà personaggi che giocano un ruolo chiave all’interno della sua vita, che lo motiveranno e lo spingeranno ad agire nella maniera più giusta, spronandolo ad amare ciò che ha la fortuna di avere e impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi. Un film da vedere con i propri fratelli, con la dolce metà o con la famiglia, capace di commuoverci e di farci sorridere, ma anche di farci tornare con la mente a quando eravamo bambini in grado di viaggiare con la fantasia.

Un film consigliato a tutti

Trent’anni passati a inseguire il sogno giapponese, fra un episodio di Gundam e un match a Street Fighter II. Adora giocare su console e nelle sale giochi di Ikebukuro che ormai, per quanto lontana, considera una seconda casa.

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