Wonder Boy: The Dragon’s Trap – Recensione

Un nuovo paradigma per le operazioni di restyling: ecco la giusta definizione per Wonder Boy: The Dragon’s Trap

Wonder Boy: The Dragon’s Trap - Recensione

Wonder Boy: The Dragon’s Trap - RecensioneLe Monster Land sono abitate da creaturine assai strane, la cui malia affligge da molti secoli la timida popolazione. Tu sei Wonder Boy – o Wonder Girl che sia, e nel tentativo di liberare queste terre dal male vieni trasformato in una bellissima lucertola antropomorfa. Decidi dunque di intraprendere un viaggio attraverso gli stupendi paesaggi della terra dei mostri per trovar sollievo dal maleficio, sconfiggere i malvagi draghi e salvare il mondo una volta per tutte.

Wonder Boy: The Dragon’s Trap è un videogioco ingiustamente dimenticato. Sviluppato in quel fine anni ottanta pullulante di degni o miseri metroidvana, il quarto capitolo della saga del ragazzo delle meraviglie riuscì a ritagliarsi una fetta tutta sua di pubblico, forte di un’estetica già ai tempi deliziosa, di un gameplay ottimo e di un livello di sfida abbastanza elevato. A distanza di quasi trent’anni dalla sua pubblicazione, Lizardcube  propone uno fra i migliori remake mai creati, dotato di un comparto tecnico/artistico meraviglioso e in grado di rendere un’esperienza ormai inaccessibile ai più come una perla per gli occhi, per le orecchie e per i nervi.

  • Titolo: Wonder Boy: The Dragon’s Trap
  • Piattaforma: PlayStation 4, Xbox One, Nintendo Switch, PC
  • Genere: Platform, Avventura dinamica
  • Giocatori: 1
  • Software house: Lizardcube
  • Sviluppatore: DotEmu, Westone Bit Entertainment (versione originale)
  • Lingua: Italiano (testi)
  • Data di uscita: 18 aprile 2017
  • Disponibilità: digital delivery
  • DLC: nessuno
  • Note: edizione retail per PS4 in arrivo grazie a Limited Run Games

Operazione nostalgia

Wonder Boy: The Dragon’s Trap è un gioco che si racconta con poco: due stringhe di testo a dar commiato a un prologo assai affrettato, in cui il nostro eroe perde i suoi poteri a causa dello scontro contro Drago Meka, per poi ritrovarsi trasformato in una lucertola sputafuoco. Dopo, il silenzio. In pieno stile anni ’80 ci si butta a capofitto in un’avventura dai tratti medievali per quanto desueti, in cui il nostro unico compito sarà cercare e sconfiggere quei cinque dragoni che detengono il segreto della nostra forma umana. Un’operazione nostalgia in piena regola, priva di qualsivoglia forma di interazione col mondo e la storia che non riguardi il mero acquisto di oggetti, inserimento password e cure mediche presso i vari shop posizionati nell’adorabile mondo di gioco. A tal proposito, a rendere davvero meraviglioso il lavoro di Lizardcube è sicuramente il comparto artistico.

Il remake propone una ricostruzione fedele – quasi maniacale del gioco originale, una colonna sonora completamente riarrangiata e un comparto grafico stupendo, con sfondi e animazioni completamente disegnati a mano. Una gioia per gli occhi e per le orecchie rispetto all’ormai inappropriata estetica originale 8 bit, la quale è comunque selezionabile in qualsiasi momento attraverso la pressione del grilletto destro. Oltre a costituire una chicca per i nostalgici, tale opzione consente di saggiare il meraviglioso e approfondito lavoro di restauro effettuato sulla base dell’opera originale in cui questo splendido team si è messo all’opera, conseguendo risultati strepitosi.

Metroid-che?

L’originale Wonder Boy III: The Dragon’s Trap riuscì ad accaparrarsi una fedele fetta di pubblico anche – e sopratutto grazie a un’esplorazione del mondo libera da aiuti e suggerimenti, in cui per progredire nell’avventura era necessario tenere a mente la posizione di tutti quegli ostacoli superabili solo dopo l’ottenimento dei power-up. Ebbene, questo remake ripropone senza modifiche la stesse e identiche meccaniche, in opposizione alle tante agevolazioni progettate per calzare a pennello sulle nevrosi dei giocatori odierni meno pazienti. Dimenticate dunque teletrasporti, indicatori o mappe, perché Wonder Boy: The Dragon’s Trap non vi aiuterà nemmeno un po’ a tener traccia dei segreti e della posizione degli oggetti: tutto viene affidato alla vostra memoria e alla vostra pazienza, alla vostra voglia di rivisitare intere aree anche solo per scoprire come proseguire.

La totale assenza di aiuti e facilitazioni si incastra in un mondo tuttavia ristretto, la cui completa esplorazione non vi richiederà più della decina di ore. Wonder Boy è infatti un gioco abbastanza breve: un’avventura di sei o sette ore per gli inesperti, se si evita di considerare la difficoltà intrinseca dell’esperienza, che vi costringerà a ripetere più e più volte gli stessi percorsi a causa di una minima disattenzione verso i pattern nemici. A giustificare il prezzo di lancio a cui il titolo è proposto intervengono alcune aggiunte discutibilmente utili, quali un inventario grazie al quale è possibile selezionare personalmente l’equipaggiamento, due nuovi livelli di difficoltà e la possibilità di scegliere il sesso del protagonista – scelta che però risulterà ininfluente già dopo i primi dieci minuti di gioco.

A chi consigliamo Wonder Boy: The Dragon’s Trap?

Consigliamo questo titolo a chiunque abbia voglia di cimentarsi in un’esperienza vecchio stile per riscoprire il piacere di un’avventura impegnativa, che non prende mai per mano il giocatore ma è comunque in grado di stimolarlo attraverso un gameplay curato e un comparto artistico meraviglioso. Consigliato ai nostalgici, ai neofiti, ai matusa e ai neonati, consigliato a chiunque voglia trovare un degno motivo per scoprire il passato o dare un pad alla propria nostalgia.

  • Gameplay ancora attuale
  • Restauro tecnico meraviglioso
  • Difficile e stimolante

  • Struttura inaccessibile ai più
  • Troppo breve
  • Alcune novità irrilevanti
Wonder Boy: The Dragon’s Trap
4

Un amore di remake

Wonder Boy: The Dragon’s Trap rappresenta un paradigma importante nella storia dei remake: non è soltanto un gioco realizzato con cura e amore per il marchio originale, ma è anche la riproposizione di un’opera che dopo trent’anni risulta ancora attraente per i più disparati motivi: per un gameplay ostico ma stimolante, per un comparto artistico meraviglioso e per la riproposizione di un genere di cui da troppo si sente la mancanza. Un’esperienza che oggi dovrebbero concedersi un po’ tutti, sia per fare i conti col passato, sia per capire cosa vuol dire rispettare e riscoprire con amore un gioco che merita sicuramente attenzione.

Ha sconfitto Cortex prima ancora di cominciare a parlare. Ama i videogiochi a 360 gradi, ha un canale YouTube dove si diverte a mettersi in ridicolo e continua a farsi bullizzare dalla PC master race perché è nato e morirà console gamer.