La cultura giapponese spiegata attraverso il videogioco

Il videogioco può essere mezzo di insegnamento? Scopriamolo attraverso tre videogiochi che spiegano a piccole dosi la cultura giapponese

La cultura giapponese spiegata attraverso il videogioco

Da sempre giocando ai videogiochi, rimaniamo affascinati da tutto ciò che è così “lontano dal nostro mondo”. Attraverso i videogiochi abbiamo vissuto storie fantastiche e abbiamo realmente preso parte a mitiche avventure che prima era solo possibile vedere nei film o leggere nei libri. Abbiamo salvato più e più volte la principessa dal castello in cui era rinchiusa, abbiamo scongiurato migliaia di volte la fine del mondo e abbiamo lottato sempre fino allo stremo delle forze per difendere quelli che erano i nostri ideali. Abbiamo vissuto attraverso i videogiochi emozioni forti, che fossero di felicità o di tristezza, toccando con mano (e immaginazione) tutti quei mondi lontani. Ma cosa succede quando il videogioco non diventa più solo un mezzo per fruire di avventure inimmaginabili, ma anche un veicolo di insegnamento, dove possiamo imparare a conoscere le abitudini, lo stile di vita, gli idiomi culturali, di altri paesi? È questo il caso di tutti quei videogiochi che ci hanno fatto conoscere (e aggiungerei amare) il “Paese delle otto isole”, il Giappone, la cultura giapponese.

La domanda da cui però inizierei è perché il mondo giapponese riesca a catturare così tanto l’immaginario collettivo. Probabilmente la causa principale di tutto questo sono i media da cui siamo ormai fin troppo sommersi. Infatti, rispetto al “sogno americano” che siamo abituati a vedere in ogni tipo di contenuto multimediale (che siano film, cartoni animati, videogiochi o clip musicali), il Paese del Sol Levante ci viene mostrato molto più di rado, se non attraverso qualche anime dedicato o pochi film lì ambientati. Questo ha portato a vedere il Giappone come una realtà molto distante dalla nostra, raramente mostrata in passato (a dispetto di oggi che ci sono molti più mezzi per poterla “vivere”), e dove ogni occasione in cui fosse presente ci lasciava pensare “È realmente così? Ci sono davvero questi usi e costumi?“.

Questo sentimento è andato poi ad alimentarsi quando attraverso i videogiochi non solo vedevamo più nel dettaglio quel mondo fantastico, ma potevamo realmente prenderne parte. Ci sono diversi giochi che potremmo prendere come esempio, ma vorrei soffermarmi su alcuni titoli in particolare, ovvero: Persona 5, la serie Yakuza e Shenmue. Ognuno di questi titoli fornisce un’infarinatura generale di diversi aspetti che compongono la società e la cultura giapponese, ma vediamoli nel dettaglio.

Persona 5 e il sistema scolastico

Persona 5 Royal

All’interno di Persona 5 vivremo la quotidianità dei protagonisti che, tra il furto di un cuore e l’altro, dovranno anche trovare il tempo per migliorare le proprie statistiche sociali. Non mancheranno dunque le lezioni scolastiche e con esse le interrogazioni, che spesso ci metteranno di fronte a domande non proprio semplici per chi non conosce le tradizioni del Giappone. Qui abbiamo la possibilità di avere una prima inquadratura generale di come funziona il loro sistema scolastico, che può essere infatti diviso in 6 grandi cicli:

  • Hoikuen (保育園, Asilo nido) fino ai 3 anni;
  • Yōchien (幼稚園, Scuola materna) dai 3 ai 6 anni;
  • Shōgakkō (小学, Scuola elementare) dai 6 ai 12 anni;
  • Chūgakkō (中学, Scuola media) dai 12 ai 15 anni;
  • Kōkō (高校, Scuola superiore) dai 15 ai 18 anni;
  • Daigaku (大学, Università) o Senmongakkō (専門学校, Istituto professionale) in genere con una durata dai 2 ai 4 anni.

Gli esami di ammissione in Giappone non sono presenti solamente quando si vuole entrare all’università, ma bisogna sostenerli ogni qual volta si sale di grado scolastico. Successivamente il resto degli esami viene diviso durante l’anno, senza avere alcun esame finale per diplomarsi o laurearsi. Inoltre, quasi la totalità degli esami sono scritti e gli esami orali sono pochissimi. Finite le superiori è il momento di decidere se avventurarsi nel mondo del lavoro oppure provare l’ammissione all’università.

Gli studenti, come ci viene mostrato anche all’interno del gioco, vanno a scuola dal lunedì al venerdì, con i corsi che iniziano alle 8:30 e finiscono alle 15:30. Durante l’orario scolastico sia gli studenti che gli insegnanti hanno anche la responsabilità di pulire e riordinare la scuola. In Giappone, infatti, non esistono i bidelli (almeno fino alle superiori). Ogni giorno, studenti e insegnanti, divisi in gruppi, puliscono a turni l’aula, i corridoi, i bagni e altre aree della scuola. In alcune scuole, gli studenti devono anche curare l’orticello dell’istituto oppure badare a qualche animaletto.

La scuola però non finisce con le lezioni. A partire dalle medie, nel pomeriggio la quasi totalità degli studenti partecipa alle attività dei club (クラブ, kurabu), attività di doposcuola gestite dagli studenti. I più famosi sono i club sportivi come baseball, calcio o atletica. Ma si possono trovare anche club di giardinaggio, cucina, musica, cinema o legati a qualsiasi altro tipo di hobby. Il dopo scuola, purtroppo, non è dedicato solo allo svago o ai club e sono moltissimi gli studenti che frequentano i juku 塾, una specie di corsi supplementari che vengono fatti solitamente verso sera. Nei juku si insegnano principalmente inglese, matematica e altre materie che potrebbero comparire negli esami di ammissione per licei o università. Altra peculiarità per gli studenti in Giappone è l’obbligo di indossare il seifuku (制服), la divisa della scuola. Ogni istituto ha una propria divisa, che è diversa per uomini e donne.

Yakuza e lo stile di vita dei membri

Yakuza Kiwami 2 per Xbox One - Recensione

Finora pochissimi giochi hanno esplorato la cultura Yakuza con la stessa profondità e autenticità mostrata nell’omonima serie videoludica. L’idea di Toshihiro Nagoshi (produttore del gioco) era quella di esprimere il “grande dramma umano” specifico del mondo della Yakuza, piuttosto che fare semplicemente affidamento sull’espressione della violenza. Kamurocho, quartiere principale in cui si svolgono le vicende della serie, è in gran parte ispirato da Kabukicho, un popolare quartiere di Shinjuku a Tokyo. Il videogioco Yakuza affronta temi filosofici, primo fra tutti l’onore, lo scegliere la via giusta o quella sbagliata fra le tante possibili. Il racconto di Kiryu parla di come la mafia cambi la vita di una persona, di come a certe scelte non è possibile tornare indietro, e di come il mondo possa essere crudele.

Ma chi sono realmente gli yakuza? La serie ludica, per quanto romanzata, offre un’ampia spiegazione di come funziona la società yakuza dall’interno.

Come mostrato anche nei videogiochi, molte storie raccontano che la yakuza accolga i figli abbandonati o cacciati dai genitori, o che spesso sono reclutati già da un clan presente nel liceo. Gli yakuza sono un ambiente giapponese composto interamente da uomini, dove il ruolo delle donne è più in ombra, situazione derivante soprattutto da una fiducia limitata da parte dei membri verso le loro mogli.

La yakuza, come altre organizzazioni criminali di stampo mafioso, è organizzata con una scala gerarchica basata sulla “famiglia”:

  • Troviamo in cima il patriarca (組長kumichō), titolo trasmesso di padre in figlio o a una persona in cui si ha piena fiducia;
  • Il capo clan è a sua volta circondato da diversi consiglieri (顧問komon), di cui uno è il più vicino di tutti al patriarca, il saikō-komon (最高 顧問);
  • Come secondi in comando troviamo il waka-gashira (若 頭), il numero due della “famiglia”, e lo shatei-gashira (舎 弟 頭), dello stesso rango, ma di autorità inferiore;
  • I ranghi medi, dove sono presenti i ragazzi più giovani, sono costituiti dai kyōdai (兄弟, “fratelli”), e gli ultimi della gerarchia dagli shatei (舎 弟, “piccoli fratelli”);
  • Infine troviamo gli apprendisti (準 構成 員, junkōseiin);
  • Ogni membro accettato tra la yakuza ottiene lo status di kobun (子 分), promettendo fedeltà e obbedienza incondizionata al suo capo. Ogni kobun può a sua volta diventare un “padrino” ogni volta che lo desidera, mantenendo la sua affiliazione e il proprio oyabun-kobun (rapporto “padre-figlio” o “discepolo-maestro”), e quindi ampliare l’organizzazione della “famiglia”.

Nei vari titoli della serie ci viene anche mostrato come gli yakuza (in particolare il protagonista) seguano un particolare codice d’onore (anche se non sempre rispettato), il Ninkyōdō (il sentiero cavalleresco), contiene 9 regole:

  1. Non offenderai i cittadini;
  2. Non prenderai la moglie del tuo vicino (in questo caso inteso come persona a cui sei profondamente stretto);
  3. Non ruberai all’organizzazione;
  4. Non farai uso di droghe;
  5. Mostrerai obbedienza e rispetto al tuo superiore;
  6. Accetterai di morire per il patriarca o di andare in prigione per lui;
  7. Non parlerai con nessuno di quello che accade all’interno dell’organizzazione;
  8. In prigione non confesserai mai nulla;
  9. Non è consentito uccidere civili innocenti.

Per diventare un membro a pieno titolo devi dimostrare il tuo attaccamento alle tradizioni e alla famiglia. Per questo ogni aspirante deve compiere una sorta di apprendistato di circa sei mesi e, se si è dimostrato degno, viene inserito nella famiglia. Se uno yakuza infrange il codice d’onore, per essere perdonato, deve mutilare il proprio mignolo e offrirlo al patriarca, e restituirgli la coppa di sakè che aveva ricevuto durante il rituale. Se ripete la sua colpa, deve ripetere la cerimonia con le altre dita.

A differenza della mafia italiana o delle triadi cinesi, la yakuza non è un’organizzazione segreta, quindi la ha spesso un ufficio ben visibile, con il nome o l’emblema del clan. Questo rende il Giappone uno dei pochi paesi al mondo in cui le organizzazioni mafiose appaiono in pieno giorno. Gli uffici della yakuza sono, legalmente, associazioni, il più delle volte, dedite al “perseguimento del sentiero cavalleresco”. Come mostrato anche in diversi media, i membri hanno un codice di abbigliamento molto specifico (come occhiali da sole e costumi colorati), in modo che possano essere facilmente identificati dai civili. Tra le tante attività redditizie della yakuza, le più famose (di cui alcune mostrate anche all’interno della saga videoludica) sono: il racket aziendale, la lotta professionale, il sumo, le scommesse e il gioco d’azzardo, il settore immobiliare, l’industria del sesso, il traffico di droga, di armi e immigrazione clandestina.

Shenmue e cosa significa vivere in Giappone

Shenmue III

Da diversi anni a questa parte, diversi giochi di stampo orientale, cercano di riprodurre nel modo più fedele possibile quelle che sono le “tipicità” di una vita in Giappone. Precursore di tutti questi titoli è Shenmue, uno dei primi videogiochi a dare la possibilità al giocatore di interagire direttamente con un mondo “reale”, dove era presente la ricostruzione della vita quotidiana in una città giapponese, Yokosuka, nella prefettura di Kanagawa, tra la fine del 1986 e l’inizio dell’87. Di sfaccettature all’interno ce ne sono tante, ma quelle che saltano di più all’occhio, soprattutto a noi occidentali, sono sicuramente i konbini e i Santuari Shintoisti.

Il primo impatto con una città giapponese è fatto di grattacieli, insegne, folla, ma i piccoli supermercati anonimi con le pareti bianche, gli scaffali ordinati, e le luci al neon, si rivelano essere spesso “l’anima” di tantissimi quartieri. I konbiniensu sutoa (abbreviato, konbini) sono dei convenience store giapponesi dove è possibile acquistare principalmente alimentari e sigarette, ma si possono trovare anche generi di abbigliamento, ricariche telefoniche, quotidiani, libri, giocattoli, CD audio e video e cosmetici. In alcuni, dove la tecnologia all’interno è molto più avanzata, offrono anche la presenza di diverse macchine self-service che permettono di fare fotocopie, inviare fax e bonifici, acquistare biglietti per concerti, eventi sportivi e altri ancora e, spesso, persino un servizio bancomat. Il basso tasso di criminalità nel paese permette di tenere aperto 24 ore al giorno anche nelle zone periferiche delle città, mentre nelle zone rurali ve ne sono alcuni che chiudono di notte. Solo in quelli più grandi, a volte si trovano tavoli e sedie dove i clienti possono sedersi e consumare la merce acquistata.

Cambiando invece argomento, per passare a uno più spirituale, una delle cose (almeno per me ai tempi) più iconiche del gioco era la possibilità di entrare in contatto con i vari Santuari Shintoisti presenti in game. Lo Shintoismo infatti è la principale religione del popolo giapponese ed è nativa del Giappone stesso, nata praticamente più di 2000 anni fa. Un santuario shinto identifica un’intera area, composta da molteplici edifici e diversi componenti, al cui interno viene custodita la divinità (il kami) venerato presso quel santuario, non visibile dai fedeli. Esistono diversi stili architettonici in tutto il Giappone e solitamente il kami è custodito all’interno della sala principale (la honden) anche se può capitare che la divinità sia troppo “grande” per essere custodita in un edificio, ad esempio quando questa è una montagna o un oceano, per cui alcuni santuari non la posseggono una sala apposita. I santuari, e i loro sacerdoti, oltre a custodire la o le divinità, hanno il compito di mostrarle alla popolazione, in determinati periodi dell’anno, durante i matsuri (i festival shinto). Esistono anche dei periodi particolari, come il capodanno, in cui i fedeli si recano in massa nei santuari per richiedere la buona fortuna e per pregare le divinità.

Guardando un santuario shinto si possono notare notare una grande varietà di sculture, manufatti e costruzioni tipiche di questi luoghi. Ognuno ha un suo significato e rappresenta una parte del culto shintoista:

  • Torii (鳥居), rappresentano il portale di ingresso del santuario;
  • Komainu (狛犬), statue in pietra che rappresentano cani da guardia, leoni o volpi;
  • Chōzuya o Temizuya (手水舎),  piccoli edifici situati all’interno del santuario dove è presente una vasca che raccoglie l’acqua da utilizzare per eseguire il rito di purificazione;
  • Honden (本殿) e Haiden (拝殿), rispettivamente la sala principale del santuario e la sala delle offerte;
  • Saisenbako (賽銭箱), una scatola di legno posta nell’haiden del santuario e usata per la raccolta delle offerte;
  • Kaguraden (神楽殿), un padiglione aperto al cui interno si tengono danze e vari riti;
  • Shimenawa (注連縄), una corda fatta con fasci di paglia di riso usati per adornare alberi sacri, torii, le haiden e le honden;
  • Omikuji (おみくじ), foglietti di carta su cui è scritta una frase della fortuna annodati al ramo di un albero, o su appositi raccoglitori;
  • Ema (絵馬), tavolette di legno su cui i fedeli scrivono le proprie preghiere e i propri desideri rivolte ai kami;
  • Omamori (お守り), piccoli amuleti o talismani formati da un rivestimento di stoffa colorato e decorato, al cui interno è inserito un foglio di carta, o un pezzetto di legno, su cui è riportata una preghiera.

Il sacerdote che si occupa di gestire un santuario, di praticare il culto di un kami, di svolgere i matrimoni e di controllare la contabilità viene chiamato Kannushi o Shinshoku. Per diventare sacerdote è necessario dare un esame finale dopo aver frequentato una delle università approvate dalla Jinja Honcho. Non ci sono distinzioni di sesso, sia gli uomini che le donne possono diventare sacerdoti e possono tranquillamente sposarsi e avere figli. Indossano una serie di vestiti che derivano dagli abiti portati ai tempi del periodo Heian dalla corte e dalla nobiltà. Le assistenti sono chiamate Miko e sono quasi sempre ragazze di giovane età.

Quando si entra in un santuario shintoista è necessario eseguire un rito di purificazione prima di poter proseguire e raggiunge la sala dove pregare; questo rito è chiamato Temizu. I passaggi da seguire per il rito sono:

  1. Prendere il mestolo con la mano destra e raccogliere l’acqua dalla vasca;
  2. Sciacquare la mano sinistra usando una piccola parte dell’acqua;
  3. Spostare il mestolo nella mano sinistra e sciacquare la mano destra con un’altra parte di acqua;
  4. Spostare nuovamente il mestolo nella mano destra e versare un po’ d’acqua nella mano sinistra per sciacquarsi la bocca;
  5. Con la parte restante di acqua bagnate nuovamente la mano sinistra e inclinare il mestolo in verticale;
  6. Riporre il mestolo sulla chōzuya, posizionando la coppetta verso l’alto e rovesciata.

Dopo aver eseguito il rito di purificazione, ci si può dirigere verso l’haiden per pregare e adorare il kami del santuario. Oltre la modalità più informale di preghiera shinto, che si può tenere in piena autonomia in un qualunque santuario, esiste anche un’altra forma di preghiera, chiamata Tamagushi, molto più formale e usata solitamente come ringraziamento durante i matrimoni, i funerali, il miyamairi (una specie di battesimo shintoista) e le cerimonie più importanti.

I videogiochi come mezzo di apprendimento

Attraverso questi tre semplici esempi, abbiamo avuto quindi prova di come i videogiochi possano essere un veicolo di apprendimento, ma possiamo davvero annoverarli tra i “reali” mezzi di insegnamento? Ad oggi, in particolare all’estero, i videogiochi sono a tutti gli effetti integrabili all’interno di un piano di studi, soprattutto grazie alla loro versatilità per quanto riguarda le tematiche. È stato coniato proprio per questo motivo il termine Game-Based Learning, ovvero l’apprendimento realizzato attraverso l’uso di giochi o videogiochi, che a volte possono nascere come strumenti di intrattenimento ma che poi vengono utilizzati, con o senza modifiche, per raggiungere un obiettivo educativo. Attualmente vengono utilizzati per lo più su tematiche come il bullismo, le migrazioni, o la guerra, raccontando storie dal punto di vista della parte lesa, educando le nuove generazioni alla comprensione e alla diversità. Non mancano però anche casi più sporadici, dove i videogiochi vengono usati anche per l’apprendimento di lingue, storia o matematica. Perciò si, i videogiochi possono essere finalmente riconosciuti come reali mezzi di apprendimento.

Prima di concludere, vogliamo che le nostre ultime righe siano dedicate a tutti i giovani lettori che fin troppe volte si sono sentiti urlare contro “lascia perdere quei videogiochi, non ti porteranno mai a niente di buono”. Il nostro consiglio vuole essere quello di parlare il più possibile del lato “nascosto” dei videogiochi, di fermarci qualche secondo e non limitarci più al “non sai quanto mi sono divertito”, ma all’estendere la frase con un sonoro “e non sai quante cose ho imparato“. Vogliamo che questo articolo non sia solo un elogio ai videogiochi e alla loro capacità di essere ponte tra le diverse culture, ma che sia anche un incentivo per voi tutti a esclamare con orgoglio “grazie ai videogiochi ho imparato”, “grazie ai videogiochi ho trovato l’ispirazione”, “grazie ai videogiochi ho scoperto”.

Quindi cari lettori, oltre ad invitarvi come sempre a lasciare un commento per farci sapere la vostra, voglio invitarvi per questa volta ad unirvi a noi per un generale “grazie videogiochi“.

Amante dei videogiochi fin dalla tenera età, ama perdersi nella scrittura ascoltando le OST di FINAL FANTASY e KINGDOM HEARTS. Convinto fieramente che la bellezza di un equip sia più importante delle sue statistiche, è sempre alla ricerca di nuovi oggetti da aggiungere alla sua collezione videoludica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà reso pubblico.I campi obbligatori sono contrassegnati con *

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.