Game Over: i 10 peggiori film tratti da videogiochi giapponesi

Game Over: i 10 peggiori film tratti dai videogiochi giapponesi

Kurama ci prende per mano e ci accompagna nella visione di dieci, pessimi film tratti dal mondo dei videogiochi giapponesi: da TEKKEN a Street Fighter, da Yakuza a Double Dragon

I film — una forma di intrattenimento ormai immancabile nella vita di tutti, grandi e piccini, e fruibili sia in enormi sale completamente attrezzate ma anche nella comodità della propria casa, come sempre più accade in questi ultimi anni. Sin dall’alba dei tempi, il mondo del cinema non ha solo offerto materiale originale, appositamente creato per il grande schermo, ma ha regalato anche tantissimi lavori ispirati, tratti o ricreati dalla vita di artisti, importanti eventi della storia o terribili incidenti che hanno colpito il mondo, ma anche fumetti e videogames. Trovare però un film quantomeno decente tratto da un titolo videoludico giapponese è un’impresa non da poco, ed è per questo motivo che noi di Akiba Gamers (scritto in questo modo, che fa tanto televendita di Giorgio Mastrota) abbiamo deciso di semplificarci il lavoro buttandoci in un qualcosa di decisamente più facile, o come si suol dire “sparare sulla croce rossa”, stilando una lista delle dieci peggiori pellicole cinematografiche tratte dai videogiochi giapponesi.

Dal momento che fare una top 10, in ordine dal peggiore al meno tremendo, è però fin troppo scontato e banale, ho deciso di proporveli di seguito in un formato inedito e innovativo: del tutto a casaccio!

THE KING OF FIGHTERS

Se non fosse stato per Hiruma, storico amante della serie picchiaduro SNK per eccellenza, probabilmente neanche avrei saputo dell’esistenza di un film a tema THE KING OF FIGHTERS. La mia vita sarebbe stata migliore sotto tantissimi punti di vista, ma Dio opera in modi davvero misteriosi.

Questa pellicola è, come dire, qualcosa di davvero potente. Qualcosa capace di distruggere con una forza spaventosa tutto quello che ami già dai primi minuti, complice anche un Rugal che, interpretato da Ray Park, assomiglia più al comico italiano Gianmarco Pozzoli piuttosto che all’iconico e potente boss. E questa è solo la punta dell’iceberg. Come potervi riassumere il tutto con un concetto chiaro e semplice? Diciamo che THE KING OF FIGHTERS di Gordon Chan sta alla controparte videoludica un po’ come City Hunter di Jackie Chan sta al celebre manga di Tsukasa Hōjō. Che Però, ironicamente, quest’ultimo racchiude in sé più Street Fighter di quanto ne abbiano offerto i due film dedicati. Ma di questo parleremo più avanti.

TEKKEN

C’è stato un periodo della mia vita in cui mi sono posto una domanda importante, a cui però non ho ancora trovato una risposta. La maggior parte dei film tratti da videogames, per quanto orrendi possano essere, sono quasi sempre tratti da qualche picchiaduro. Ma perché? Sono decisamente più facili da realizzare a livello di trama, cosa che comunque escluderei visto che ad oggi nessuno è riuscito a realizzarne almeno uno decente, o magari un picchiaduro ha improvvisamente preso vita e ha rovinato l’infanzia, magari uccidendo l’animale domestico, di qualche pezzo grosso del cinema americano che ha poi giurato vendetta? Chissà. Fatto ’sta che anche TEKKEN non è sfuggito all’ira funesta del grande schermo.

Devo esser sincero con voi lettori: a me Jon Foo piace, e il suo facciotto in copertina mi ha ispirato non poca fiducia. Fiducia che poi è stata distrutta durante la visione, complice anche un Gary Daniels, nei panni di Bryan Fury, che continua a infestare i miei incubi peggiori sin dai tempi in cui ho avuto la sfortuna di visionare Fist of the North Star, trasposizione cinematografica occidentale del celebre Hokuto no Ken. Fortunatamente Foo è riuscito in seguito a farsi perdonare e farmi ricredere sulle sue doti (che detta così sembra ’na roba porno, ma vabè) grazie alla sua interpretazione di Ryu in Street Fighter: Legacy, il cortometraggio che ha fatto da apripista alla realizzazione dell’apprezzatissimo Street Fighter: Assassin’s Fist (dove però Ryu stavolta è stato interpretato da Mike Moh), dimostrando all’intero pubblico che, sotto sotto, puoi essere bravo come e quanto ti pare, ma se il film fa schifo ci rimetti comunque anche se non te lo meriti.

DEAD OR ALIVE

Premessa: se ti piace la patata, la trasposizione cinematografica di DEAD OR ALIVE così tanto schifo non fa. È una una pellicola che riguardo volentieri ogni volta che mi capita di beccarla in TV, anche se, lo ammetto, lo faccio solo per Holly Valance (nei panni di Christie). Peccato poi che al film sia stata data una sceneggiatura, e allora rovina davvero tutto. Come ciliegina sulla torta arriva anche Ayane, capace di bruciarti le retine con la sua parruccozza catarifrangente, che di giapponese probabilmente ha solo lo shampoo di Yuko Yamashita con cui hanno lavato lo scalpo posticcio prima di farglielo indossare.

Però mi è davvero piaciuto tanto assai il pezzo in cui, tutte assieme sulla scalinata, decidono di andare a uccidere Bill.

Yakuza – Like a Dragon

Qui il discorso si fa un po’ più lunghetto. Se ci si pensa bene, un film tratto dal videogioco Yakuza (Ryū ga Gotoku in Giappone) sarebbe dovuto essere probabilmente il più facile da realizzare rispetto a tutti gli altri, vista la tematica abbastanza verosimile, una sorta di “spaccato” del Giappone più oscuro e spaventoso. Però alla direzione c’è Takashi Miike, e quindi già si capisce quanta normalità può esserci al suo interno (in senso positivo, eh). No, non parlerò del signor cane pazzo di Shimano e dell’attore che lo interpreta, perché seriamente, il tabaccaio vicino casa mia assomiglia più a Goro Majima di colui che è stato effettivamente scelto per le riprese. Parlo semplicemente del fatto che Yakuza – Like a Dragon rivisita gli eventi del primo titolo della serie, MA senza i suoi personaggi importanti, concentrandosi su robe totalmente secondarie e trascurabilissime, e ficcandoteli poi in mezzo così, totalmente a caso, negli ultimi cinque minuti di film dandoti giusto mezza spiegazione.

Tutta la pellicola è composta principalmente da: Majima che fa cose (un buon 60% del film), una giovane coppia (20%), Kazuma e Haruka che parlano e girano per Kamurocho a caso (15%), la presenza e lo sviluppo su schermo dei personaggi essenziali della trama, ovvero Nishikiyama, Yumi, Kazama, Date (5%), il tutto talvolta accompagnato dalla versione giapponese di “una rotonda sul mare”. L’unica cosa degna di nota la offrono quei piccoli e sporadici punti in cui si tirano in ballo le meccaniche di gioco, come Kiryu pervaso dalla tipica aura che indica il riempimento della barra heat, o la presenza di energy drink in momenti cruciali, capaci di offrire quel piccolo boost che serve sempre!

E niente, basta. Tutto il resto è talmente terribile che puoi tranquillamente iniziare a prendere a testate il muro con la speranza di fare tabula rasa.

House of the Dead

Sebbene non sia un grande fan del rail shooter di casa SEGA, mi son ritrovato più e più volte nel corso della mia adolescenza a guardare gli amici giocavano a The House of the Dead (principalmente perché io avevo finito i gettoni e allora guardavo loro), gli stessi amici che lo apprezzavano e che, improvvisamente, una sera se ne sono usciti fuori con “guardiamo il live action?”. Detto sinceramente, dopo tutti questi anni, ancora oggi sto cercando di capire il senso del film e delle azioni compiute dai personaggi. Anche in questo caso si tratta di una trasposizione davvero troppo fedele, dal momento che sia gioco arcade che film sono accomunati da spari e uccisioni di zombie senza un minimo senso logico, anche se vogliono farti credere che una trama ci sia nonostante tutto sia davvero a casaccio, così come altrettanto in modo totalmente random ti vedi buttare in mezzo alcuni spezzoni del gioco vero e proprio. Ancora mi chiedo il perché.

Fatto sta che il film pare non aver fatto abbastanza schifo, tant’è che si è deciso di realizzarne un sequel: Cacciatori di Zombie (House of the Dead 2). Mi sono rifiutato di guardarlo. Scusate. C’è un limite a tutto.

Street Fighter – Sfida Finale

Un CULT, se non della vostra, almeno della mia infanzia. Un film che guarderei e riguarderei almeno dieci volte al giorno, ma che con Street Fighter c’incastra davvero una sega. Era bello giusto per la presenza di uno Jean-Claude Van Damme ai tempi d’oro che ricopriva il ruolo dell’iconico militare Guile (senza capello a spazzola però)… ma probabilmente basta così. Ryu e Ken, senza dubbio i due combattenti più celebri del picchiaduro da cui questo film è tratto, sono rilegati al ruolo del tutto marginale e buttato come va va, a casissimo, affiancati da una Cammy, interpretata da Kyle Minogue che sì, nella sua vita pure l’attrice ha fatto, un Vega meno ispanico di Antonio Banderas quando faceva le pubblicità per la Mulino Bianco, Sagat che pare un tizio a caso raccattato all’Eurospin a cui è stata messa una benda sull’occhio, e da un Raúl Juliá davvero ottimo nella parte di Gomez Addams. Ah no, aspetta, stavolta doveva fare il potente Mr. Bison. Avete presente Bison no? Ecco, di certo non lo avrei fatto interpretare da qualcuno che il signor Van Damme sarebbe in grado di spazzare via semplicemente con uno starnuto assieme a quel secco di Blanka.

Il film è stato talmente BOH, non so neanche come descriverlo, che si è ben pensato pure di realizzarci sopra un videogame (rilasciato addirittura in due versioni, console e arcade). Cioè, è una genialata disumana se ci si pensa bene. Ripetete con me, ma lentamente: hanno realizzato un terribile videogame di un film discutibilissimo tratto da un videogioco di grande successo. Cioè, riuscite a capire quanto cazzo di genialità è stata messa dietro a tutto questo progetto?!

Super Mario Bros.

L’innovazione. Ricordo che quando ero piccoletto, tutti i miei amici stravedevano sull’idea di un film su Super Mario Bros., complice il suo grande successo su NES e SNES. Come ho avuto modo di raccontare in separata sede, sono sfortunatamente stato uno di quei pargoli prescelti cresciuti a pane e SEGA (ma Mega Drive eh), per questo motivo la mia conoscenza iniziale con il baffuto Mario e il fratello Luigi l’ho fatta comodamente e senza impegno a casa dei compagnucci di scuola. Non la migliore delle presentazioni a dire il vero, ma quanto basta per chiedermi già a metà film la fatidica domanda di rito: “Ma checcazzo sto guardando?”. Un prodotto realizzato sotto acidi talmente potenti che non so, al di là di Mario stesso, tutti i personaggi non c’incastrano un cazzo con la loro controparte videoludica. Sì, so benissimo che queste scelte sono state fatte con cognizione di causa, la direzione artistica era intenzionata a realizzare una pellicola di questo genere, e credo sia proprio questo il problema principale. Alla fin fine, quando decidi di fare un film su licenza, bisogna quasi sempre tenere in mente che i biglietti più sicuri che venderai per la visione della pellicola provengono proprio dai fan, e solo in parte da tutto il resto. Se poi il film sarà un successo, allora la voce girerà e i soldi arriveranno anche dalle persone non familiari con il brand, ma bene o male che vada, i fan di mezzo a cacciare soldi ci sono sempre. Questo modo di pensare, almeno secondo me, è quello che tuttora continua a rovinare i tantissimi “reboot” o “rivisitazioni” di opere ben definite che, senza stupirci minimamente, floppano quasi sempre malissimo.

Ma alla fin fine, chissenefrega! Meglio puntare sull’alternativo! Siamo nel 1993. Portare su grande schermo delle creature con fattezze simili a tartarughe sarebbe da pazzi.

TEKKEN 2: Kazuya’s Revenge

Esistono tantissimi film, più o meno acclamati dal pubblico, che potrebbero benissimo godere di entusiasmanti sequel atti ad approfondirne la storia… ma non li ricevono. In tanti si spremono le meningi per capire le motivazioni dietro le misteriose scomparse, mentre altri, in particolar modo in questi ultimi tempi, preferiscono andare sul sicuro e farsi finanziare addirittura dai fan su piattaforme per il crowdfunding. Ma, sorpresa sorpresina, ci sono anche particolari tipologie di film che hanno fatto schifo al cazzo, e così, senza che nessuno lo abbia richiesto o sentisse la necessità, ecco che ti tirano fuori il sequel che meno ti aspetti. In modo molto analogo al ritorno di malattie e pestilenze debellate da anni per via di tutta la crociata contro i vaccini, torna sul grande schermo il picchiaduro per eccellenza di BANDAI NAMCO Entertainment in modo ancora più discutibile di prima. Se la pellicola apripista tratta dal videogioco originale è stata una pessima idea, realizzata in modo terribile e risultata in un flop clamoroso, quanto mai lo potrà esserlo un secondo capitolo/prequel che, in tutto e per tutto, è un tripudio di azione a caso dove, in modo del tutto palese, neanche gli attori sanno chi diavolo stiano interpretando?

Una roba talmente amatoriale ma spacciata per “professionale” che boh, se ripensi al primo ti viene quasi di dargli anche un paio di Oscar. Roba che potrebbe diventare presto o tardi un cult al pari di The Room.

Street Fighter – La Leggenda

È il 2009. Il director Andrzej Bartkowiak, quasi come un classico villain dei fumetti americani, decide di sfruttare l’immenso potere della gnocca per riportare sul grande schermo il popolarissimo picchiaduro di casa CAPCOM: Street Fighter. Nasce così Street Fighter – La leggenda. La leggenda de che? Di Chun-Li ovviamente, dato che il nome originale del film (Street Fighter: The Legend of Chun-Li) lascia intuire in modo migliore quale sarà la direzione della trama. A vestire i panni della cinesina thicc per eccellenza è Kristin Kreuk, la Lana Lang resa celebre dal telefilm Smallville, attrice che di per sé basta e avanza per convincerti a vedere il film. Peccato solo che la sua bellezza stavolta sia bastata, perché come si suol dire in questi casi, Street Fighter – La leggenda è un film talmente brutto che non fa il giro lungo e diventa bello, ma fa il giro talmente lungo che sorpassa il bello e ritorna sul brutto.

La scelta di basare un film su Chun-Li, come primo di una “ipotetica” serie di pellicole dedicate anche agli altri celebri combattenti, è un’idea coragiosa e decisamente allettante, peccato solo che la realizzazione del tutto non lo sia stato altrettanto. Tipo che mi ci son volute tre visioni del film per riuscire a seguirlo tutto, una al cinema e due a casa, e durante le prime due mi sono (a tratti rumorosamente) addormentato malissimo.

Double Dragon

Double Dragon
Il bambino che è in me dice “Siiiii! È bellissimo!” l’adulto che è in me dice “No… anche no”. È palese che il film sia stato creato per intrattenere in qualche modo il pubblico giovane, adolescente. Qualcosa che ho giusto apprezzato quando ero un ragazzetto, ma che anno dopo anno iniziava a piacermi sempre meno. Un film tratto da un picchiaduro a scorrimento ignorante, riempito però con qualche scenetta gag tanto per fare (ogni volta che Scott Wolf sorride mi urta il sistema nervoso), protagonisti che indossano costumi da ninja – perché negli anni ’90 i ninja tiravano più di un carro di buoi il cui manto è composto da peli di figa – e Alyssa Milano con i capelli del professor Onizuka di GTO. Insomma, in definitiva, un film che apprezzi in tutto e per tutto giusto quando fai parte del suo fanciullesco target, quando sei giovane e allora ti entusiasmi per qualsiasi cosa, a differenza di tanti altri lavori anche più vecchi che, nonostante siano fatti per giovanissimi, talvolta sono godibili anche da un ormai trentenne.

Sicuramente leggendo questa lista vi sarete chiesti: “Ma questi non sono il 90% di film tratti dai videogiochi giapponesi?”. Ebbene sì! Se escludiamo Gyakuten Saiban, i vari RESIDENT EVIL che pare siano piaciuti assai, quantomeno a tantissima gente (a me per niente, ma piacciono a così tante persone che inizio a credere di essere solo io il problema), e i pochi altri, tutto il resto è davvero da dimenticare! Cosa ci aspetterà in futuro? Vedremo finalmente arrivare qualche altra trasposizione decente e fedele? Oppure continueremo ad assistere a delle trashate disumane che, spesso e volentieri, con il prodotto su cui dovrebbero essere basate non c’incastrano una cesta di minchie? Ai posteri l’ardua sentenza…

Prestigiatore, ballerino di break dance, produttore cinematografico, traduttore ufficiale di frasi imbarazzanti per prodotti R18, fondatore di Akiba Gamers: un curriculum da fare invidia a Johnny Sins, ma che non regge il confronto con la sua smodata passione per i giochi d’importazione e per i tegolini.

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