Behind The Screen – Recensione

Behind The Screen, opera di 18LIGHT e COSEN, ci catapulta in un puzzle/adventure decisamente oscuro, dove niente è come sembra. O forse è esattamente così?

Behind The Screen - Recensione

Behind The Screen - Recensione

In un mondo in cui fatti e notizie possono essere distorti, ciò che conta di più è la percezione.

Il panorama dei videogiochi indie è vasto e ricco di sfumature, sperimentazioni più o meno riuscite che hanno come obiettivo principale quello di stupire e raccontare, che sia attraverso un gameplay inusuale o una narrazione borderline. Poteva dunque la Nintendo Switch, una delle console più innovative degli ultimi tempi, non divenire culla perfetta per questo genere di esperimenti? Behind The Screen, sviluppato da 18Light e pubblicato da COSEN, è uno di quei titoli estremamente particolari che possono essere giocati solo in due modi: consapevoli di cosa si sta per affrontare o completamente ignari di ciò che accadrà a schermo acceso, senza vie di mezzo. Avendo intrapreso questa avventura scegliendo quest’ultima via, cercherò di prepararvi a ciò che questo puzzle/adventure game vi porrà dinanzi, con un unico avvertimento: non è un gioco per bambini.

  • Titolo: Behind The Screen
  • Piattaforma: Nintendo Switch
  • Genere: Puzzle/Adventure
  • Giocatori: 1
  • Software house: COSEN
  • Sviluppatore: 18LIGHT
  • Lingua: Inglese (testi), Cinese (doppiaggio)
  • Data di uscita: 23 agosto 2018
  • Disponibilità: digital delivery
  • Note: sviluppato da un team indie taiwanese

Non proprio la favola della buonanotte…

La storia di Behind The Screen ci catapulta in Taiwan, in un’era in cui internet non è ancora diventato così comune e alla portata di tutti come lo è oggi. In pochi minuti, attraverso dei filmati recitati da attori reali estratti da notiziari televisivi, veniamo a conoscenza di un terribile delitto che vede protagonista un giovane ragazzo che ha brutalmente pugnalato fino alla morte suo padre. Questi spezzoni recitati si susseguiranno per tutta l’esperienza di gioco, lasciando parlare alcuni dei personaggi che incontreremo, con l’unico obiettivo di raccontare una parte di questa vicenda e farci credere, intervista dopo intervista, che l’unico mostro della storia è il figlio assassino e che non c’è altro da sapere su di lui. Peccato che, per non renderci proprio facile digerire queste affermazioni, quell’assassino siamo noi: all’interno del gioco vestiamo infatti i panni di Yu Ming Wang prima del terribile evento, e il nostro viaggio per tentare di comprendere cosa abbia portato il giovane a compiere un atto così inumano inizia nel fatidico giorno in cui egli scopre la verità sulla ragione che ha portato sua madre a decidere di lasciare suo padre.

L’importanza dei punti di vista

Già dai primi minuti di gioco veniamo catapultati nella visione del mondo del giovane Yu Ming, completamente distorta e surreale: pupazzi che parlano, insegnanti che si trasformano in enormi e spaventosi ragni da cui fuggire, in un contrasto fortissimo tra finzione e realtà che ci spinge, mano a mano che avanziamo, a distingurne l’una dall’altra con una sempre più estrema difficoltà. Crescendo insieme al nostro protagonista e passando attraverso le fasi più importanti della sua vita, le meccaniche di gioco ci accompagnano e si evolvono in simbiosi con la narrazione. Attraverso tre capitoli si ha infatti la possibilità dapprima di muoversi unicamente nella mappa di gioco con gli analogici e interagire con gli oggetti, spostare letti per sbloccare percorsi e nascondersi come il più classico dei puzzle game, per poi chiedere al giocatore sempre di più con il proseguimento della storia: vengono introdotte battaglie contro animali umanoidi in un colosseo, nel quale è necessario impugnare una spada o pararsi, premere al momento giusto dei pulsanti per assestare un bel pugno a qualche bullo o per prevenire certi spiacevoli eventi, completamente inadatti ai bambini.

L’idea di fondo di variare così tanto le meccaniche risulta interessante e funziona per scongiurare la ripetività del genere, ma considerando la durata effettiva del titolo non era estremamente necessario: per completare la storia di Behind The Screen vi basteranno appena due ore ma, in tutta onestà, sono più che sufficenti. Il tema trattato è decisamente oscuro, e il fortissimo contrasto tra finzione e realtà, che ci porta dinanzi immagini e dialoghi effettivamente plausibili, confonde e riesce perfettamente a farci immergere in un mondo fin troppo surreale. Il risultato è un viaggio intenso, fatto di alti e bassi, da vivere tutto d’un fiato ma che agita e incute ansia. Nota di demerito va però alla localizzazione inglese, non del tutto perfetta e che regala dialoghi semplici e, nella maggior parte dei casi, estremamente noiosi.

A chi consigliamo Behind The Screen?

Affrontare la narrazione di Behind The Screen non è semplice e tutt’altro che divertente, ma in maniera del tutto voluta. Rappresenta uno di quei titoli dai temi dark e che, attraverso le tipiche meccaniche di un qualsiasi altro puzzle/adventure, cerca di raccontare qualcosa di oscuro che è, prima di ogni altra cosa, l’importanza della percezione che abbiamo delle cose. Non fatevi ingannare dalle musiche molto vicine allo stile della colonna sonora del Professor Layton, o all’interessantissima e degna di nota direzione artistica che strizza l’occhio a film d’animazione alla Coraline, questo titolo non è per niente adatto ad un pubblico di bambini, e neanche ad adulti troppo sensibili. Se invece amate le atmosfere surreali e il contrasto con il forte realismo, i puzzle game non troppo proibitivi che vi consentiranno di sfidarvi ma al contempo tuffarvi senza interruzioni in una narrazione profonda dai risvolti interessanti, allora Behind The Screen è ciò che state cercando, a patto che siate disposti a spendere 8,99 € per due ore di ansia.

  • Direzione artistica molto interessante
  • Gameplay in simbiosi con l’evoluzione della narrazione
  • Trama oscura e pesante, adatta agli appasionati

  • Durata complessiva di sole due ore
  • Dialoghi semplici e a tratti noiosi
  • Il continuo cambio del gameplay, con la pesantezza della trama, può lasciare interdetti
Behind The Screen
3

Quando il surreale incontra il più contorto realismo

Behind The Screen è un titolo estremamente particolare, e per questo va saputo apprezzare per ciò che offre: una storia cruda, oscura, un viaggio nel quale vestiamo i panni di quello che tutti agli effetti ci è descritto come un assassino. Ma cosa può portare un così giovane ragazzo a compiere un’atto così pieno d’odio? C’è qualcosa che non è stato detto? Behind The Screen ha come obiettivo principale quello di farci riflettere sulla percezione che abbiamo delle cose, e come un aspetto così immateriale possa influenzare la realtà. Una narrazione dai toni dark, intervallata da puzzle non particolarmente sfidanti ma che risultano più un sospiro di sollievo tra una verità e l’altra. Un titolo in definitiva adatto agli appassionati del genere, che non entusiasma per innovazione nelle meccaniche ma che vanta di una direzione artistica decisamente interessante, scontrandosi però con una localizzazione povera e dei dialoghi a volte fin troppo semplici, in quelle che sono non più di due ore di gioco ma che, in tutta onestà, risultano più che sufficienti da digerire.

Neolaureata alle prese con l’obbligo morale di intraprendere una vita da adulta, la sua vera casa è Eorzea (FFXIV) e spera di iniziare a lavorare nell’industria dei videogames prima dell’uscita di KINGDOM HEARTS III (quindi, forse, non ce la farà mai).

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