Le opere più importanti per l’evoluzione dell’animazione giapponese

Quali sono le opere più importanti per la storia dell’animazione giapponese e per l’evoluzione del media? Scopriamole assieme

Le opere più importanti per l'evoluzione dell'animazione giapponese

Da quando in Italia arrivarono per la prima volta i cartoni giapponesi, gli anime, attorno agli anni ’80, con opere che hanno fatto la nostra infanzia, molti di noi hanno potuto assistere a un’evoluzione stilistica e tematica grazie alla loro ormai facile accessibilità a tutti grazie alle piattaforme di streaming. Classici come DRAGON BALL, Gundam e Sailor Moon facevano parte di una vera e propria Golden Age degli anime, dove venivano create moltissime opere che ispirano tutt’ora i prodotti più recenti. Quello che molti non sanno però, è che gli stessi cartoni giapponesi degli anni ’80 e ’90 furono il risultato di altrettante influenze ed evoluzioni dalle origini molto più antiche. In questo articolo dunque, abbiamo deciso di proporre una selezione di dieci produzioni animate, tra corti e lungometraggi, per ripercorrere a grandi linee l’evoluzione dell’animazione giapponese, sia a livello contenutistico che tecnico.

Katsudō Shashin (1907)

Katsudo Shashin è una pellicola ritrovata attorno agli anni 2000, ma il cui periodo di realizzazione sembra risalire attorno al 1907, rendendola il primo tentativo di animazione giapponese ad oggi conosciuto, sebbene non sia considerato un anime vero e proprio. Nella breve durata di pochi secondi, il filmato mostra soltanto un ragazzino vestito da marinaio che scrive la frase “katsudo shashin” (ovvero immagine in movimento), voltandosi poi verso lo spettatore. I frame sono stati creati con l’uso della maschera Stencil e applicati a delle pellicole, fatte poi girare in un tipo di lanterna magica orientale, creando così un’animazione in loop.

Namakura Gatana (1917)

Ci sono tutt’ora dubbi su quale sia stato il primissimo cartone animato giapponese, in quanto molte pellicole vennero perse a causa del devastante terremoto del Kanto avvenuto nel 1923. Stando agli storici attuali, Namakura Gatana del 1917, è il primo esempio di corto anime che abbia una struttura narrativa: il breve filmato comico (di 4 minuti) ci mostra un samurai intento a provare una katana appena comprata, scoprendola però non affilata e incapace di tagliare qualsiasi cosa. L’animazione è stata realizzata in cut-out animation, dal momento che importare celluloidi ad altri materiali costava troppo. Come molti anime di quegli anni, Namakura Gatana è stato ritrovato abbastanza di recente, nel 2008.

Chikara to Onna no Yo no Naka (1933)

La prima grande evoluzione tecnica arrivò negli anni ’30 grazie a figure che decisero di investire nell’animazione, ispirati soprattutto dal livello dei prodotti Occidentali; si iniziò dunque a studiare le tecniche più avanzate, con gli acetati, la camera multipiano e l’aggiunta del sonoro. Kenzo Masaoka fu uno dei più importanti animatori giapponesi a interessarsi seriamente in quest’ambito, tanto da venir considerato il “Walt Disney giapponese”: nel 1932 riesce a fondare un piccolo studio di animazione assieme ad alcuni suoi allievi, e riesce a ottenere dei finanziamenti dalla collaborazione con la Shochiku, una delle più vecchie aziende giapponesi.

Nel 1933 viene proiettato Chikara to Onna no Yo no Naka, il primo cartone animato giapponese ad avere suoni e doppiaggio. Sfortunatamente, il film è andato perduto, ed è considerato un Lost Media, ma visti i ritrovamenti tardivi delle pellicole di quegli anni si può solo sperare che qualche copia si sia salvata da qualche parte. Il successo del film gli permetterà poi di creare altri corti assieme ai suoi colleghi, come The dance of the Chagamas (1934), il primo corto realizzato interamente con gli acetati, e Ari-Chan (1941), il primo anime che fa uso della camera multipiano.

Kumo to Tulip (1943)

Masaoka inizia a produrre diversi corti, ma quello che viene considerato il suo capolavoro è Kumo to Tulip (il ragno e il tulipano), un curatissimo cortometraggio che racchiude tutti gli elementi tecnici che Masaoka e i suoi allievi hanno imparato a usare negli anni precedenti. Oltre a musiche ed effetti più presenti, troviamo una sincronizzazione col labiale più che ottima per il tipo di produzione; anche la regia è notevolmente migliorata, con inquadrature più varie che mostrano nel dettaglio delle animazioni fluide e pulite, apprezzabilissime anche al giorno d’oggi.

La storia di questo anime di quindici minuti ci racconta di un ragno che tenta di catturare una coccinella, la quale fugge all’interno di un tulipano. Il ragno avvolge il fiore con la ragnatela ma, a causa di un temporale, lui finisce scaraventato dal vento mentre la coccinella si salva, riparata dal fiore. Il filmato, proiettato ai cinema, venne accolto con entusiasmo dal pubblico, ma fu criticato dalle autorità politiche e militari poiché, in quegli anni, era in vigore una legge che imponeva agli artisti di pubblicare solo opere che avessero uno spirito nazionalista o legate al tema della guerra.

Momotaro: Umi no Shinpei (1945)

In periodo di guerra dunque, anche l’animazione venne usata a scopo propagandistico per diffondere il sentimento di orgoglio nazionale, e per tale motivo venne creato Momotaro: Umi no Shinpei, che divenne il primo lungometraggio animato giapponese, commissionato dal Ministero della Marina.

Proiettato nell’aprile del ’45 (pochi mesi prima del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki), la storia presenta i protagonisti (un cane, una scimmia e un fagiano) prepararsi ad andare in missione per combattere al servizio della patria, arrivando poi su un’isola nel Pacifico. I tre rendono l’isola una base militare con l’aiuto degli animali selvatici, i quali vengono educati sulle basi della cultura giapponese, colpiti dalla loro potenza militare. In seguito, il Generale Momotaro arriva sull’isola, pronto a iniziare un’operazione per “liberare” territori, conquistandoli a sua volta e mettendo in scena le abilità dei soldati e dei mezzi militari del Giappone. Il film si chiude mostrando gli Stati Uniti come prossimo obiettivo da conquistare.

Mitsuyo Seo (allievo di Masaoka) fu incaricato di dirigere il film per un pubblico di bambini, in quanto il Ministero trovò che i cartoni animati potessero servire come mezzo di propaganda per i più piccoli. L’anime presenta i messaggi tipici di tutte le produzioni di propaganda militare: il proprio paese viene presentato non solo come una forza inarrestabile a livello bellico, ma anche diffusore di conoscenza, come viene mostrato con gli animali selvatici, esseri “inferiori” rozzi e incapaci di comunicare, e che dunque necessitano dei soldati per imparare a leggere o a scrivere. Nonostante la storia che c’è dietro, il budget investito in Momotaro: Umi no Shinpei permise la creazione di un prodotto eccezionale dal punto di vista tecnico, con maggiore profondità e attenzione alla prospettiva; salta all’occhio anche un’impressionante cura per i movimenti delle ombre e del vento.

Escludendo il puro messaggio nazionalista, Momotaro; Umi no Shinpei rimane un film assolutamente apprezzabile, nonché una delle opere più influenti per il cinema d’animazione giapponese, riuscendo a colpire perfino Osamu Tezuka, allora bambino.

La leggenda del Serpente Bianco (1958)

Nel dopoguerra, Masaoka e altri animatori continuano con le loro produzioni, tra fondazioni di studi, ritiri o fallimenti. Molti si unirono a Toei Doga, oggi conosciuta col più celebre nome di TOEI Animation, che nel 1958 produsse il primo lungometraggio anime a colori, La leggenda del Serpente Bianco.

Il film è un adattamento di una celebre favola cinese, scelta per tentare di riappacificare i rapporti con la Cina. La storia parla dell’amore tra Xu Xiang e Bai Niang, un umano e una yokai, i quali sono ostacolati dal monaco Fa-Ha, il quale conosce la vera natura di lei e teme essere uno spirito maligno. L’anime fu uno dei primi ad essere distribuiti fuori dal Giappone e, sebbene la Disney fosse ancora più avanti tecnicamente, diventò un successo che avrebbe attirato l’attenzione di pubblico e critica, riuscendo anche a vincere vari premi.

Si tratta infatti di un prodotto ideato con l’intento di spingere i mezzi dell’animazione disponibili il più possibile, con un costo di oltre 20 milioni di yen (impiegando inoltre l’uso del rotoscopio) e una produzione che durò quasi due anni; i risultati di tale impegno furono evidenti, non solo con l’uso dei colori, ma con un miglioramento notevole a livello estetico, grazie a una direzione artistica da parte di animatori esperti e a cui vennero dati gli strumenti per provare a sperimentare.

Già ai tempi vari critici invitarono a tenere d’occhio le future produzioni giapponesi, i quali, visti i risultati ottenuti da La leggenda del Serpente Bianco, decisero di iniziare definitivamente a investire nell’animazione come mai fatto prima.

La grande avventura del principe Valiant (1968)

Il film che più caratterizzò lo stile di TOEI e degli anime a venire fu La grande avventura del principe Valiant, film del 1968 a cui lavorarono nomi ben conosciuti quali Isao Takahata (in qualità di direttore), Hayao Miyazaki, Yasuo Otsuka e Yasuji Mori. Takahata, ancora giovane, ottenne il permesso di dirigere affiancato dal suo maestro, Yasuji Mori, mentre Miyazaki si occupò degli sfondi e Otsuka di dirigere le animazioni; Otsuka e Takahata invitarono tutto lo staff a dare consigli e idee durante le riunioni, nelle quali spiccarono particolarmente quelle di Miyazaki.

Ci troviamo in un paese nordico, dove il protagonista, Horus, scopre una spada leggendaria, la “Spada del Sole”, la quale dovrà però essere riforgiata per utilizzarla; nel frattempo, il padre di Horus ormai morente, gli rivela l’esistenza di un villaggio a Nord in cui viveva anni prima, ma costretto a fuggire dopo l’attacco di Grunwald, un demone che portò gli abitanti a uccidersi a vicenda. Rimasto ormai solo, Horus decide di andare verso Nord per sconfiggere le forze del male e liberare il villaggio.

Abbiamo quindi una storia molto classica, con il viaggio dell’eroe che dovrà sconfiggere il cattivo, ma in verità meno superficiale di quello che sembra dall’incipit; seppur si tratti di un’avventura fiabesca indirizzata a un pubblico di bambini, non è da sottovalutare quanto la semplicità della narrativa renda piacevole e memorabile il film, assieme a dei buoni personaggi e un ritmo coinvolgente. Oltre dunque a una storia tranquillamente godibile, sia da grandi che da piccoli, vi è un comparto artistico per l’epoca spettacolare, dove a farla da padrona sono soprattutto i combattimenti; viene inoltre data una maggiore espressività ai personaggi, tratto che diventerà poi ben distinguibile nelle future opere di Takahata e Miyazaki.

Si rivelò un insuccesso a livello commerciale, ma La grande avventura del principe Valiant è ad oggi riconosciuto come un eccellente classico imperdibile per tutti gli appassionati d’animazione, in quanto gettò le basi per un’estetica degli anime più moderna, di cui vediamo le tacce ancora oggi.

Nausicaä della Valle del vento (1984)

Dagli anni ’80 del Novecento, l’animazione giapponese entrò in una vera e propria Golden Age, grazie alle opere di registi quali Hayao Miyazaki, Katsuhiro Otomo, Isao Takahata e Mamoru Oshii; moltissimi film di quel periodo sono ancora oggi considerati dei classici da vedere assolutamente, pertanto sceglierne solo uno è estremamente difficile. Diretto da Hayao Miyazaki e prodotto da Isao Takahata, Nausicaä della valle del vento è uno dei film che colpì maggiormente pubblico e critica, e che ad oggi ha ancora una forte influenza su numerosi artisti.

Basato sull’omonimo manga di Miyazaki, Nausicaä della Valle del vento è ambientato in un mondo post-apocalittico, dominato da una giungla tossica che genera mostruosi insetti e nubi velenose. Mentre i due regni di Tolmekia e Pejite credono sia necessario distruggere la giungla, Nausicaä, ragazza proveniente da una delle poche zone non contaminate, scopre che la natura è diventata velenosa a causa dell’inquinamento dell’uomo, ma che è ancora possibile salvarla e ripristinare l’equilibrio dell’ecosistema del pianeta. A farle da ostacolo saranno però proprio i due regni, pronti a scatenare una guerra che lei è decisa a prevenire per salvare sia gli umani che la natura.

Nausicaä della Valle del vento (1984)

Il film fu un enorme successo sia in Giappone che in Occidente, grazie in particolare ai temi attuali e realistici che colpirono il pubblico: il focus principale è quello del rispetto per la natura, finita in degrado e messa in pericolo dalla guerra, elemento fortemente criticato anche nelle future produzioni di Miyazaki. Le motivazioni dei personaggi e la storia delle loro culture furono ben caratterizzati, senza cadere nella superficiale divisione di buoni e cattivi. Al contrario di storie dello stesso genere, in Nausicaä viene dato sempre una sensazione di speranza per un futuro pacifico e di una convivenza alla pari tra uomo e natura. La passione che Miyazaki ha trasmesso con quest’opera non si limita alla narrativa, ma anche al lato tecnico della pellicola, regalandoci ambientazioni e sfondi incantevoli e animazioni affascinanti, accompagnate per la prima volta dalle musiche di Joe Hisaishi.

Dopo il successo di Nausicaä della Valle del vento, Takahata e Miyazaki ebbero dei diverbi con dei produttori che avrebbero imposto limiti alle loro idee, pertanto decisero di fondare uno studio per le loro produzioni future: lo Studio Ghibli.

Akira (1988)

La fine degli anni ’80 vedeva il Giappone creare sempre più produzioni animate ad alto budget. Se diversi critici già erano incuriositi sul cinema d’animazione nipponico, la maggior parte del pubblico, soprattutto quello nordamericano, rimase chiaramente più ancorato sui lungometraggi Disney, sebbene gli anime ebbero un boom di popolarità storico grazie alle prime serie TV arrivate in quel periodo.

Fu con l’arrivo di Akira, di Katsuhiro Otomo (basato sull’omonimo manga) che l’Occidente si rese conto del forte valore artistico degli anime. Ambientato in un mondo distopico dai toni cyberpunk, il protagonista Kaneda è a capo di una gang di motociclisti, di cui fa parte Tetsuo, invidioso delle capacità e del carisma del suo amico; durante degli scontri causati da una protesta, i due si separano quando Tetsuo viene catturato dalla polizia e portato in un ospedale militare, dove si svolgono strani esperimenti medici. Kaneda tenterà dunque di ritrovare Tetsuo, mentre la situazione di crisi sociale rischia di far scoppiare una rivolta.

Akira (1988)

Con più di un miliardo di yen speso per il budget, e più di 1000 animatori a libro paga, la produzione di Akira necessitò della creazione di uno gruppo di lavoro apposito per il film, a cui si unirono diversi studi del calibro di Bandai, Kodansha e Toho; in certi casi, gli studi si dedicarono ad un singolo elemento, alcuni per implementare la CGI, altri unicamente per gli sfondi. Grazie a questa collaborazione mai vista prima, si riuscì inoltre ad introdurre per la prima volta negli anime la tecnica del pre-recording (utilizzata già dalla Disney), permettendo di adattare le animazioni alle battute dei doppiatori.

Questa divisione di compiti per studio rese Akira un film tecnicamente spettacolare, dove era visibile una cura maniacale in ogni aspetto del film, dalle animazioni incredibilmente fluide e precise anche nelle più brevi inquadrature; i paesaggi urbani sono ricchi di elementi e di effetti come mai visto prima, una perfetta scenografia per i movimentati inseguimenti sulle moto, i quali riescono ad essere caotici ma perfettamente leggibili nei movimenti, grazie ad una ben studiata regia di Otomo stesso. Anche il comparto sonoro non è da escludere, con una colonna sonora che fonde strumenti tradizionali Giapponesi ad un sound più futuristico.

Sebbene in America gli incassi alla prima cinematografica non furono particolarmente alti, il pubblico si innamorò follemente di Akira, iniziando quindi a richiedere l’importazione di altri prodotti giapponesi. Akira divenne subito un cult che avrebbe influenzato le opere cyberpunk negli anni a venire, rientrando in tantissimi articoli di critici che ancora oggi lo definiscono uno dei film più importanti nella storia dell’animazione e del cinema nel suo insieme.

La città Incantata (2001)

La carriera di Hayao Miyazaki si stava già costellando di enormi successi, come Laputa – castello nel cielo (1986) e Principessa Mononoke (1997), pian piano diventati famosi anche fuori dal Giappone, ma è con La città incantata (considerato dal molti il suo capolavoro) che riesce definitivamente a conquistare il grande pubblico. Come ormai quasi tutti sapranno, fu il primo film anime a vincere gli Oscar, e resta anche l’unico caso finora, riuscendo inoltre a far entrare scene e personaggi del film nell’immaginario comune.

La piccola Chihiro finisce in una città abitata dagli yokai, e i suoi genitori vengono trasformati in maiali dalla strega Yubaba. La bambina dovrà dunque rimanere nella città e lavorare per la strega nel suo impianto termale, per trovare un modo di liberare i suoi genitori. La storia dai toni fiabeschi de La città incantata venne in particolar modo elogiata per la maturità dell’opera e dei temi trattati, la profondità dei personaggi e il ritmo della narrazione, dove anche le sequenze più calme sono capaci di coinvolgere lo spettatore tanto quanto quelle più frenetiche. L’evoluzione della protagonista, Chihiro, la rese uno dei personaggi più apprezzati, in quanto affronta un percorso di maturazione che la cambia visibilmente dopo aver superato i numerosi ostacoli con solo la propria forza, in quella che è una metafora ad un rito di passaggio. È inoltre interessante notare il fatto che vennero apprezzati per la prima volta elementi del folklore giapponese, i quali spesso venivano persi a causa di riadattamenti che volevano rendere i film più vicini alla cultura Occidentale, soprattutto a quella americana.

La città Incantata (2001)

Con un budget di quasi 2 miliardi di yen, l’animazione si arricchisce in una maniera mai vista prima, modernizzata anche grazie all’utilizzo di software digitali che permisero di integrare nuovi effetti senza però prevalere sul disegno 2D. Tantissimi critici ad artisti parlarono de La città incantata come un film importante non solo per una riscoperta degli anime in Occidente, ma per una rivalutazione dell’animazione in generale come forma d’arte, sottolineando come non dovesse più esser trattata come intrattenimento poco serio e limitato ai bambini. Grazie all’Oscar e ad altri numerosi premi, La città incantata riuscì a consacrare gli anime come opere assolutamente valide, oltre che a definire Miyazaki come maestro dell’animazione.

Creatura notturna appassionata di animazione, fumetti e videogiochi, tende a evitare le persone ma otterrete la sua totale attenzione se vi sente parlare di Ero Guro. Acculturata di film grotteschi e documentari storici, è veramente esperta in cinema trash. Abilità speciale: saper raccontare la storia di Walt Disney a comando.

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