La mia fuga alcolica – Recensione

Il terzo volume autobiografico di Kabi Nagata, edito sempre da J-POP, è un inno dell'autrice al rispetto di se stessi e della propria condizione fisica e mentale.

La mia fuga alcolica - Recensione del volume unico di Kabi Nagata

I diari introspettivi a fumetti di Kabi Nagata sono ormai un esempio palpabile di vicende interiori di squilibrio che cercano di essere riassestate dall’autrice attraverso la loro rappresentazione visiva e narrativa: da La mia prima volta a Lettere a me stessa, la trasposizione a fumetti della vita di Kabi Nagata ha destato tantissime reazioni positive, portandola anche a ricevere premi quali l’Harvey Award nel 2018. La mangaka ritorna a parlare di sé anche ne La mia fuga alcolica – Scappando dalla realtà, recentemente edito in Italia da J-POP, nel quale Nagata parla di una problematica che ha accompagnato per lungo tempo la sua vita, portandola a soffrire di pancreatite: l’alcolismo.

La mia fuga alcolica - Recensione del volume unico di Kabi Nagata

  • Titolo originale: Genjitsu Tôhi Shitetara Boroboro ni Natta Hanashi
  • Titolo italiano: La mia fuga alcolica – Scappando dalla realtà
  • Uscita giapponese: 2019
  • Uscita italiana: 23 marzo 2022
  • Numero di volumi: 1 (completo)
  • Casa editrice: J-POP Manga
  • Genere: seinen, autobiografico, psicologico, slice of life
  • Disegni: Kabi Nagata
  • Storia: Kabi Nagata
  • Formato: 15×21
  • Numero di pagine: 136 pagine

Abbiamo recensito La mia fuga alcolica tramite volume stampa fornitoci da J-POP Manga.

Un viaggio inspiegabilmente tortuoso alla ricerca della salvezza dalla propria condizione esistenziale, più che la riparazione del suo stato patologico. Questo viene considerato e descritto dall’autrice come un passaggio, fatalmente crudele, verso la consapevolezza che la sua vita è degna di essere vissuta, è una parabola discendente verso la ricerca della felicità. Nei tre volumi autobiografici Kabi Nagata cerca di esprimere il proprio disagio interiore, non temendo, almeno apparentemente e attualmente, di preoccuparsi di cosa pensano i lettori sulle proprie scelte di vita. In La mia fuga alcolica, però, la malattia si fonde ad un certo punto anche con la crisi lavorativa: Nagata sprofonda in uno stato di autocommiserazione – che sfocia in una ricaduta ulteriore nell’alcolismo, anche a seguito delle sue dimissioni dalla degenza — che la fanno interrogare sul suo futuro da mangaka. I lettori penseranno che, in fin dei conti, è solo un’alcolista senza speranze, empatizzeranno con la sua storia o si annoieranno solamente leggendo i suoi monologhi interiori disegnati? Kabi Nagata ripiega così nella fiction, in opere manga di fantasia in cui la sua condizione patologica e le sue problematiche mentali possano distaccarsi dal lavoro di illustratrice.

Ma ben presto comprende che un lavoro asettico, in cui non riversa nessun affiatamento psicologico nasconde alla fine la via per tornare alla tristezza, alla malinconia e all’insofferenza. Dal punto di vista strutturale, inoltre, questo si presenta come un lavoro abitudinario, meticoloso e preciso, che si riversa anche sul piano estetico e narrativo: forse Nagata non intende avere una vita impostata come una tavola di fumetto, ma un disordine confortante che si manifesta soprattutto nelle vignette che caratterizzano i suoi lavori autobiografici. Anche La mia fuga alcolica si riconferma seguire questa linea compositiva: assenza di splash page riempitive, frammentazione voluta di elementi grafici e didascalie che spieghino il periodo di degenza in ospedale a seguito della pancreatite e il processo di consapevolezza da parte dell’autrice della propria salute in stretta correlazione con l’equilibrio mentale, decisamente precario.

Kabi Nagata, la malattia come motivo di rinascita

La mia fuga alcolica è un diario di annotazioni differentemente affini sulla malattia, fisica e mentale, sulla presa di coscienza delle problematiche intrinseche alla propria condizione sociale, che si manifesta nella sua confusione strategica a cui Kabi Nagata fa affidamento quando scrive e disegna storie che riguardano la sua autobiografia. Quasi come un monito per i suoi lettori che per se stessa, l’autrice intende presentare la sua esperienza come esempio da non seguire, piuttosto che come sfogo emozionale da cui cerca di fuggire per paura di disturbare gli altri. È questo quello che sembra trasparire dalle pagine, un racconto a immagini forte e doloroso che intende spronare il lettore a cambiare atteggiamento nei confronti della vita per non cadere nella spira dell’alcolismo e con questo probabili ricadute cliniche che possono compromettere definitivamente la propria salute fisica. Probabilmente è per questo che Kabi Nagata si trova più a suo agio nello scrivere racconti autobiografici: lanciare un messaggio esperenziale, un monito di salvezza e quasi di “inno alla vita”, attraverso il quale, specularmente, cercare di convincere anche se stessa a migliorare la propria condizione godendo della vita che si ha, senza cercare un falso appagamento. È quello che ha fatto anche nelle sue opere precedenti, La mia prima volta e Lettere a me stessa: raccontare al pubblico per spronare se stessa, imporre la propria visione delle cose per cercare di cambiarla intrinsecamente, rendendosi cont di aver fallito nei propri intenti. Il punto di forza della narrazione incrociata di Nagata, che si intreccia con il suo tratto frettoloso, sporco e impreciso, risiede proprio nella rappresentazione diretta delle cose così come si presentano, senza il filtro della fiction o della mediazione di elementi improntati semplicemente sulla narrativa lineare. La mia fuga alcolica, forse più degli altri lavori di Kabi Nagata, è un flusso di coscienza, un racconto retrospettivo – perché l’autrice ricorda che non ha preso appunti durante la sua degenza in ospedale dal momento che non pensava di scriverne un fumetto – che però è funzionale alla rappresentazione di una mentalità ormai consolidata che porta Nagata a fare i conti più con se stessa, con la sua interiorità, che con le pratiche redazionali e con i lettori.

La mia fuga alcolica - Recensione del volume unico di Kabi Nagata

 

Kabi Nagata torna a parlare della propria condizione esistenziale, affrontando una problematica fisica dovuta all’eccessivo consumo di alcol. Il ricovero in ospedale dovuto alla pancreatite la porta a ripensare non solo alle proprie attitudini esistenziali, ma anche al suo lavoro da mangaka e alla necessità di dover fare i conti con delle narrazioni autobiografiche che la portano a temere i giudizio degli altri, ma che al contempo la soddisfanno di più rispetto alle narrazioni finzionali. La mia fuga alcolica è la storia della degenza di Kabi Nagata per motivi di salute, ma anche la possibilità di raccontare ancora una volta i propri dissidi interiori e il proprio vissuto disordinato.

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Il diario introspettivo sull’alcolismo

L’incapacità di tornare a una vita normale caratterizza soprattutto l’ultima parte del volume: i sensi di colpa dell’autrice si accumulano in un vortice psicologico che ingloba in sé sia la sfera medica e fisica, che quella lavorativa, da sempre un elemento che incide molto sulla sua autorappresentazione personale e intrasoggettiva. Il lavoro di mangaka la porta a scontrarsi con i genitori prima, che non vedono di buon occhio questo lavoro considerato precario e poco remunerativo, ma questa volta anche con la propria definizione editoriale: una connotazione che riguarda non tanto le dinamiche di pubblicazione, quanto la sua stessa concezione di ciò che “può essere detto”. Nagata vorrebbe continuare esclusivamente a scrivere racconti finzionali, molto apprezzati dal pubblico e che l’hanno portata anche a vincere dei premi, piuttosto che continuare nella stesura di racconti a fumetti autobiografici. Ma una parte di sé continua a desiderare di raccontare la propria esperienza, un monito per sé ma anche per gli altri. La convinzione che tali racconti possano però rappresentare un problema per gli altri e che possano essere malvisti, la induce ancora di più in questa spirale di autocommiserazione che la porta nuovamente a ricadere nell’alcol. Nel momento in cui Kabi Nagata comprende, anche grazie ai suoi editor, come sia quasi essenziale raccontare la propria esperienza personale, avviene in lei un meccanismo di liberazione dal macigno del peccato.

La mia fuga alcolica - Recensione del volume unico di Kabi Nagata

Un messaggio forte, quello che Kabi Nagata intende lanciare ai suoi lettori, e sul quale J-POP crede ancora una volta, concedendo lo spazio necessario a opere seinen e di forte impatto emotivo: l’edizione è straordinariamente perfetta, con una resa grafica di stampa eccelsa che esalta il colore arancione evidenziatore che caratterizza tutto il manga, facendolo apparire quasi come colorato a mano pagina per pagina, grazie all’esaltazione data dal spessore delle pagine che si mantengono molto spesse e che non lasciano trasparire alcun segno dalle tavole sottostanti. La mia fuga alcolica è la libera rappresentazione del disagio interiore, quella vergogna psicologica che ognuno di noi teme di raccontare anche a chi gli è vicino e che Kabi Nagata, al contrario, è pronta a raccontare a tutto il mondo, per cercare di risanare quella ferita soggettiva attraverso il confronto emozionale con l’altro e la trasposizione su carta della propria esperienza di vita.

A chi consigliamo La mia fuga alcolica?

A dispetto di quello che potrebbe apparire, La mia fuga alcolica è un fumetto adatto a chiunque, non estremamente pesante da poter infastidire qualcuno, anzi. Kabi Nagata può essere apprezzata anche da chi non abbia letto le sue opere precedenti, che possono essere apprezzate indipendentemente dalla sequenza di lettura: questo volume, al contrario, potrebbe essere preso come un incipit di fruizione per avvicinarsi e incuriosirsi alla vita dell’autrice. Parallelamente, La mia fuga alcolica è necessariamente indirizzato a chi Kabi Nagata già la conosceva, e che quindi voglia continuare a seguire le dinamiche psicologiche della mangaka.

La mia fuga alcolica - Recensione del volume unico di Kabi Nagata

  • Lezione di vita cruda e vivida
  • Narrazione forte, incentrata sulle dinamiche personali
  • Edizione molto curata e con buoni dettagli di stampa

  • Verbosità forse troppo altalenante
  • Continua rappresentazione delle paranoie dell’autrice sul suo lavoro che dopo un po’ possono stancare
La mia fuga alcolica
3

Un diario sui risvolti patologici dell'alcolismo

Se da una parte La mia fuga alcolica è solo un pezzetto della tristemente nota vita di Kabi Nagata, questo tassello fumettistico si pone come un racconto retrospettivo in cui l’autrice si interroga realmente su cosa significhi vivere in modo degno e sul suo futuro da mangaka. La malattia l’ha portata a comprendere come la fuga alcolica, facile apparentemente ma difficile da superare, non sia la soluzione ai suoi dissidi interiori, ma al contrario sia fonte di altri problemi ulteriori. Questo manga è quindi un regalo che l’autrice vuole fare ai suoi lettori, ma soprattutto a se stessa, perché a quanto pare è l’unico modo che conosce per fare i conti con le proprie problematiche psicologiche e interazionali. Come se la carta e la matita potessero risanare il rapporto malato con la sua interiorità. Vedremo nelle prossime opere se ci è riuscita o meno.

Una mahō shōjo che vive sommersa tra libri e fumetti, Pokémon e dadi di D&D. Divoratrice compulsiva di film e serie TV, nel tempo libero complotta con il suo gatto per conquistare il mondo. Sogna un giorno remoto di disegnare una storia a fumetti incentrata su una campagna di Dungeons & Dragons.

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