Bayonetta 2: intervista completa a Platinum Games

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Gamasutra intervista Atsushi InabaYusuke Hashimoto, rispettivamente producer e director di Bayonetta 2, che vedrà la luce nel 2014 in esclusiva per Nintendo Wii U. Vi riportiamo di seguito l’intervista tradotta.

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Come è stato il rapporto che avete avuto con Nintendo mentre lavoravate su Bayonetta 2? 

Inaba: Ora che abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con Nintendo, devo dire che è stato grande. Hai una certa immagine della compagnia, ci è piaciuto molto lavorare con loro e renderci conto di cosa si prova. Sanno molto riguardo ai videogame, ed è stato grande lavorare con loro. Finora il nostro rapporto non è durato molto, ma è stata una bella esperienza. Con questo non voglio dire che non abbiamo avuto screzi su alcune cose, ma fin’ora è stato un buon rapporto.

Durante la tavola rotonda Q&A tenutasi all’E3 di quest’anno vi è stato chiesto se il gioco ha subito cambiamenti di estetica a causa del rapporto con Nintendo. Ma sono curioso di sapere piuttosto se da questo rapporto avete imparato qualcosa in merito alla direzione da far prendere al gameplay.

Hashimoto: Nintendo ci ha fornito feedback sul gioco in più di un’occasione; noi facevamo progressi e loro giocavano e ci fornivano feedback che siamo stati in grado di sfruttare. Si tende ad avere una visione ristretta quando lavori allo sviluppo di un gioco, quindi quando un buon numero di consigli arrivano dall’esterno, è rinfrancante.

Bayonetta è così incentrato sul gameplay che sono sicuro che Nintendo possa comprenderlo molto bene. Me lo confermate?

Hashimoto: Sì, esattamente. Quando volevamo inserire qualcosa nel gioco non ci hanno mai posto ostacoli. Ma è come se fossero un giocatore molto critico che sa farsi da parte dandoci grandi consigli su come creare il gioco.

Inaba: Lavorando con Nintendo, una cosa che risalta è che non possiamo coprire le debolezze del gameplay abbellendo la grafica o aggiungendo cutscene, o cose del genere.  La loro preoccupazione, prima di tutto, è  il cuore del gioco e la qualità del gameplay. Ci stavano molto dietro in quel senso. E a dire la verità è un po’ snervante lavorare con persone così perfezioniste.

Il gioco è cambiato molto da quando Nintendo è entrata nel progetto?

Hashimoto: A dire il vero le specifiche non sono cambiate affatto. Nintendo è stata più una osservatrice, ed è stata molto brava nel lasciarci fare il nostro lavoro e a indicare alcune cose minori di cui occuparsi durante lo sviluppo.

Bayonetta 2 è un gioco spettacolare, e allo stesso tempo molto reattivo, veloce e profondo. Come fate a conciliare la due cose?  Molto giochi riescono nell’una oppure nell’altra cosa, raramente in entrambe. 

Hashimoto: Lo si deve molto al battle programmer, Don-san. È molto bravo nel creare qualcosa che abbia il giusto feeling, e che abbia anche la sua giusta rappresentazione sullo schermo.

Quindi mi state dicendo che ottenere il giusto feeling è una sfida di tipo tecnico, piuttosto che di design del gameplay?

Hashimoto: Sì, assolutamente. Per quanto riguarda il design, lanciamo le idee al battle designer. “Vorremmo che fosse così!” Abbiamo delle richieste. Poi lasciamo tutto in mano al programmatore. Si discutono le piccole cose: “Porta questo più in primo piano,” o “Implementalo in QUESTO modo” – ma alla fine è tutto legato alle capacità del programmatore.

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Bayonetta, la protagonista, si comporta in maniera diversa da giocatore a giocatore, in base a come la si configura. È una cosa atipica per questo tipo di gioco. Pensate che questa flessibilità sia un vantaggio?

Hashimoto: Quel tipo di flessibilità è qualcosa su cui poniamo molta importanza. Non è necessariamente la cosa più importante, ma alcuni  giocatori preferiscono usare le pistole, altri preferiscono il corpo a corpo. Aumentare la qualità del gioco vuol dire anche permettere quel tipo di flessibilità.

Riguardo al combattimento, è più importante che appaia bello, o che si lasci giocare bene?

Hashimoto: Sono entrambi aspetti importanti, e non ne metterei uno al di sopra l’altro. È stato evidente nella presentazione dell’E3 di Bayonetta 2: il nostro obiettivo è sorprendere i giocatori. E se la sorpresa proviene da un elemento o dall’altro, essi sono ritenuti egualmente importanti durante la produzione del gioco.

Quando parlate di sorpresa, come definite la sorpresa per i giocatori? 

Hashimoto: Ovviamente dipende dal giocatore. Se nessuna delle persone che lavora al gioco è sorpresa, ovvero se nessuno è sorpreso da un certo elemento, allora non c’è possibilità che abbia l’effetto che vogliamo su quante più persone possibili. Quindi creiamo un gioco cercando di sorprendere l’intero team di sviluppo.

Vi ritrovate spesso a scartare le prime idee, o idee ovvie? Dovete andare oltre le vostre idee iniziali per realizzare la “sorpresa” di cui parlavamo?

Inaba: Ho notato che con Mr. Hashimoto non accade tanto di avere una idea per poi scartarla, un’altra idea per poi scartarla… di solito ha idee che poi leviga ulteriormente, e non le inserisce in maniera temeraria.

Sembrerebbe che più che per tentativi, procediate perfezionando le vostre idee. Raccomandereste di portare avanti e perfezionare una idea forte, o di provare molte cose diverse?

Hashimoto: Nel mio caso, si. Ci sono molte persone e ruoli diversi all’interno di Platinum Games e quello stile non necessariamente si applica a tutti, ma direi che levigare e pulire una idea è più nel mio stile,  specialmente nel caso di Bayonetta 2. Partiamo con una solida base e l’obiettivo questa volta è di creare qualcosa di più grande, più bello e più rifinito. Per esempio, avevamo una base solida con Bayonetta e questa volta annunciamo di aver inserito una modalità co-op. Quindi è coerente con la filosofia di aggiungere qualcosa all’esperienza di gioco, ed è coerente con il mio stile personale.

Se doveste dare un consiglio a chi sta lavorando a un action game incentrato sul sistema di combattimento, quale sarebbe la cosa più importante da tenere a mente? 

Hashimoto: Questo è valido anche per il primo Bayonetta, ma una delle cose più importanti in un combat game è avere un link diretto con il cervello del giocatore, eliminando qualunque gap tra quello che si pensa, quello che si vuole che il personaggio faccia e quello che succede sullo schermo. Ovviamente tutto dipende dalla reattività. I nostri sforzi maggiori si sono concentrati in quella direzione. Quello sarebbe il mio consiglio. E, ovviamente, questo si basa pesantemente su un buon framerate. 60 FPS per Bayonetta 2… anche quello è stato un traguardo importante per raggiungere una buona risposta.

Bayonetta èstato il primo grande gioco di Platinum Games. Avete fatto tanta strada da allora. Con questo sequel pensate di avere ancora da dimostrare qualcosa come accadde ai tempo del primo capitolo? 

Hashimoto: Certamente, questa volta abbiamo da dimostrare anche a noi stessi che possiamo realizzare qualcosa che sia ancora meglio dell’originale. Siamo noti per creare titoli originali, e questo è il nostro primo sequel. In questo senso c’è ancora molto da dimostrare. Vogliamo riuscire a realizzare qualcosa migliore dell’originale sotto molto aspetti.

Inaba: Quando Platinum Games è stata creata, stavamo lavorando su più titoli. Ma in particolare, Bayonetta è stato il nostro titolo principale, e sentivamo di dover porre molto in quel progetto, lo sentivamo talmente tanto che il futuro della compagnia pareva legato ad esso. Tutti nella compagnia pongono un forte valore su quel titolo. È stato molto, molto importante. Questa volta con Bayonetta 2 dobbiamo alzare l’asticella. Questa volta non stiamo tanto creando la nostra reputazione, ma stiamo stabilendo dove possiamo arrivare, e in questo senso e tanto importante quanto il precedente.

Ormai siete un studio indipendente da qualche anno, dopo aver lasciato CAPCOM. Sentite più pressione di quanto vi foste aspettati?

Hashimoto: Se paragonata a quella del periodo CAPCOM, sì, sentiamo una maggiore pressione, ma allo stesso tempo siamo più motivati in quello che facciamo.

Pensate di avere ottenuto la libertà che sognavate quando avete creato questa compagnia?

Inaba: Non direi che era la libertà ciò che cercavamo, pensavamo solo che l’industria si trovasse in una situazione in cui sul mercato uscivano sempre lo stesso tipo di giochi, e che c’era molta ripetitività, considerando che molte compagnie continuavano a realizzare sequel degli stessi titoli. Quello che volevamo era creare giochi d’impatto, titoli unici che fossero d’ispirazione per l’industria. Volevamo anche creare un posto dove radunare altri creatori e game designer che volessero raggiungere gli stessi obiettivi.

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Pensate che Platinum sia diventato quel posto, un ritrovo per developer ambiziosi?

Inaba: Ho lavorato con Mr. Hashimoto per molto tempo, quindi vorrei sapere cosa ha da dire lui a riguardo, ma dalle persone che si aggiungono allo studio ci sentiamo dire che è il tipo di posto che stavano cercando, che finalmente hanno trovato un luogo che li aiuti a raggiungere gli obiettivi che si erano prefissati, e in questo modo aiutano noi a raggiungere i nostri obiettivi.

Hashimoto: Certamente, abbiamo tutti stili diversi e veniamo tutti da situazioni diverse. Ma ora siamo tutti in un luogo dove possiamo dire liberamente “Sai, non credo che questo vada bene” o “Forse dovresti fare questo in maniera diversa, o toglierlo del tutto”. Quindi c’è sicuramente un senso di fiducia che cresce. Inoltre, questo tipo di ambiente è motivante. Per questo c’è una tensione positiva che supporta le persone del gruppo all’interno di Platinum. È davvero un posto in cui tutte le persone gioiose di cuore possono contribuire a creare una atmosfera davvero molto divertente.

Collezionista e retrogamer compulsivo, circola con un Game Boy Advance in tasca e non ha paura di usarlo. Probabilmente è il più polemico del gruppo.