I FIGLI DEL MARE – Recensione

La stagione invernale degli anime al cinema targata Nexo Digital in collaborazione con Dynit si arricchisce di una vera e propria perla: scopriamo insieme I FIGLI DEL MARE, l’ultima grande fatica dello Studio 4°C, in tre date evento dal 2 al 4 dicembre

I FIGLI DEL MARE – Recensione

Il 2019 ormai è agli sgoccioli e Nexo Digital si accinge terminare l’anno con gran classe distribuendo finalmente in Italia una pellicola come I FIGLI DEL MARE (海獣の子供 – Kaijū no Kodomo). Approdato nelle sale giapponesi il 7 luglio scorso, lo Studio 4°C riadatta sul grande schermo l’omonimo manga di Daisuke Igarashi seguendo la sceneggiatura curata dal mangaka stesso. Un gran salto di qualità per l’artista, che si è visto proiettato dal creare storie brevi alla produzione di un lungometraggio della sua prima storia più longeva, curato da uno staff a dir poco stellare che ha saputo valorizzare la sua arte innalzandola: Igarashi peraltro, viene spesso e volentieri paragonato alla poetica del maestro Hayao Miyazaki dati i temi ricorrenti di fantasia amalgamata al folklore, dove il punto cardine è il fortissimo contatto nonché legame indissolubile con la natura. I FIGLI DEL MARE è perciò un mezzo, un modo che ha l’autore di veicolare il proprio messaggio, che con immagini e metafore ci avvicina a un contesto culturale intimo e profondo quale il pensiero nipponico che ci è ovviamente estraneo. Sconosciuto per quanto comunque accessibile grazie alla visione a dir poco sdoganata del sopracitato maestro Miyazaki, dove proprio grazie alla comunicazione nonché direzione artistica, è possibile avvicinarvisi pur mantenendo la fortissima identità culturale che contraddistingue lo spettatore e la pellicola in sé.

I FIGLI DEL MARE – Recensione

I FIGLI DEL MARE diventa perciò senza mezzi termini un vero e proprio ponte, dove se da una parte c’è il desiderio di comunicare da parte di Igarashi, nel mezzo lo Studio 4°C funge da veicolo per raggiungere con ogni funzione artistica gli interlocutori dell’artista: Noi. La storia di quest’opera così intrinseca di significato verte proprio su questo concetto, quale l’importanza del raggiungersi, di comprendersi e di come sia complesso farsi capire pur formulando ed esponendo pensieri in maniera che crediamo esauriente. Una difficoltà che a Ruka, la prima protagonista di cui facciamo la conoscenza, è molto familiare e che le costerà inizialmente i progetti per le vacanze estive appena incominciate, proprio a causa del suo temperamento. Atteggiamento più che comprensibile per una ragazzina delle medie, la cui travagliata situazione in famiglia la spinge ad approcciarsi in maniera disfunzionale con chi le sta attorno, finché un giorno frequentando l’acquario dove lavora suo padre non incontra a suo interno uno strano ragazzino di nome Umi.

Per quanto sembri esser suo normalissimo coetaneo, Umi è il minore di due fratelli soccorsi in mare che vennero allevati da dei dugonghi: non si sa né chi siano i loro genitori né da dove vengano e, per quanto vengano esaminati continuamente la scienza non riesce a trovare alcuna risposta. Ruka essendo una ragazzina molto curiosa cercherà da subito di capire il più possibile Umi, instaurandovi un saldo rapporto di amicizia poi esteso a suo modo con Sora, il maggiore dei due: non sarà facile, poiché a differenza del fratello minore dal carattere estroverso e solare, Sora è molto più scostante e indifferente oltre che fisicamente in stato d’inspiegabile deperimento costante. Come se la situazione del ragazzo non fosse abbastanza drammatica, nel frattempo le creature marine di tutto il mondo si stanno radunando in un unico punto indipendentemente dal loro habitat naturale: primi fra tutti pesci abissali e specie molto rare che giungono a riva morte, accalcando carcasse lungo tutta la spiaggia della città accentuando un alone di mistero sempre più inspiegabile.

Lasciando momentaneamente il lato narrativo da parte, a livello tecnico I FIGLI DEL MARE è un vero e proprio gioiello visivo che si avvia da subito a un climax tra i più spettacolari che lo Studio 4°C sia mai riuscito a produrre; si tratta di una tecnica che unisce animazione tradizionale a computer grafica, unita in maniera a dir poco esemplare che, in un’unione pressoché simbiotica, non pesa assolutamente in nessun momento dell’intera durata del film. Si tratta di un’evoluzione stilistica davvero mirabile da parte di 4°C, famoso soprattutto per aver curato gli OVA di Detroit Metal City ma soprattutto la trilogia cinematografica di Berserk, il cui motion capture rimane ancora oggi tra gli utilizzi più fastidiosi della tecnica mai visti su grande schermo.

I FIGLI DEL MARE – Recensione

Quella de I FIGLI DEL MARE è quella che si suol dire una direzione magistrale da parte di Ayumu Watanabe (Fratelli nello Spazio, Doraemon – Film) ha saputo orchestrare un prodotto a dir poco eccezionale, supportato da uno staff davvero incredibile: primo tra tutti, un vero peso massimo che sicuramente qualsiasi appassionato conoscerà, Joe Hisaishi. Famoso per la collaborazione con Takeshi Kitano e a dir poco celeberrimo per i suoi lavori per lo Studio Ghibli, i brani creati da Hisaishi per I FIGLI DEL MARE sono il fiore all’occhiello di una direzione artistica superlativa: sonorità che catturano in maniera perfetta l’atmosfera oceanica che permea il film, dove archi e pianoforte si sposano come soltanto Hisaishi sa amalgamare e come se non bastasse, come se l’immersione non fosse già al culmine, fiati corde e percussioni accelerano sempre più freneticamente verso un crescendo che fa stringere le mani sui braccioli della poltrona.

I FIGLI DEL MARE – Recensione

Certo il genio di Joe Hisaishi è già di per sé immenso, ma come detto poco sopra Kaijū no Kodomo vanta non solo uno scomparto musicale che rasenta la perfezione, ma anche di un estro artistico dagli standard veramente elevatissimi, dove le scene più importanti godono di salti di qualità superbi dove l’occhio si perde in un tripudio di meraviglia, merito di due pesi massimi dell’animazione giapponese: il charactr designer, nonché direttore delle animazioni, Kenichi Konishi, in collaborazione con l’art director Shinji Kimura. Facciamo una rapidissima summa di alcuni dei loro lavori. Konishi ha precedentemente lavorato come animatore chiave in Porco Rosso, Neon Genesis Evangelion, Paprika, Digimon Adventure – Our War Game e Il Castello Errante di Howl. Kimura invece, agli sfondi di Akira, Il mio vicino Totoro, Lamù – Beautiful Dreamer, Space Adventure Cobra (Serie TV e Film) ed è stato direttore artistico in Steamboy.

Un team di creativi a dir poco stratosferico che insieme ha dato vita a un prodotto tecnicamente immenso, pienamente godibile intriso di quella corrente di pensiero nipponico, dove la ricerca di risposte è all’interno di ciò che la natura ancora ci nasconde. Tornando perciò sul lato narrativo, sfortunatamente in soltanto 110 minuti di pellicola alcuni personaggi secondari risultano di sfondo, quasi delle macchiette per quanto diano un sentore di spessore in quelle poche – quasi uniche – sequenze in cui hanno effettivamente spazio: una tempistica che il manga in cinque volumi riesce a gestire meglio, seppur non si tratti di un chissà che difetto. Menzione d’onore al brano del film di Kenshi Yonezu (già di per sé famosissimo, recentemente soprattutto per la sigla d’apertura Peace Sign in My Hero Academia) “Umi no Yūrei” che incapsula alla perfezione l’atmosfera del film, unendo un uso molto gradevole dell’auto-tune a sonorità classiche che ricordano le note di Hisaishi durante la pellicola.

I FIGLI DEL MARE – Recensione

In conclusione, I FIGLI DEL MARE lascia spazio a moltissime speculazioni, crea domande e fa riflettere sulla trama in sé giustificando le proprie scelte narrative, restando all’interno di un alone di mistero atavico che lo stesso Igarashi ha tentato di reinterpretare. Da dove veniamo, chi siamo e perché ci troviamo qui sono quesiti che non smetteranno mai di esistere e, sta soltanto a noi non tanto rispondervi, quanto più interpretarli.

Ci vorrebbe il Mare, per andarci a fondo

I FIGLI DEL MAREI FIGLI DEL MARE è uno dei film animati più belli del 2019 a mani bassissime. La recensione finisce qui, ma potrei parlarne per giorni ancora tanto mi ha colpito. Ogni volta che mi ci soffermo o semplicemente ascolto alcuni brani, non riesco a fare a meno che ripercorrere alcune di quelle sequenze che ormai sono impresse a forza nella mia retina. Sembrerà quasi una battuta ma, di mio trovo davvero complesso trovare delle parole per esprimere quanto questo film incarni l’ideale giapponese di Bellezza nello stato dell’Arte. Il fatto che unisca una tecnica di disegno tradizionale alla computer grafica più avanzata, è uno spaccato incredibilmente fedele alla realtà di un paese che è sinonimo d’iper-tecnologia, ma che rimane ancorato a dei valori tradizionali che si porta dentro da secoli. I FIGLI DEL MARE tra le varie interpretazioni, secondo me è anche un modo di ritrovare uno spirito creativo che un po’ è andato perdendosi, dove la minuzia e la cura del dettaglio che ha sempre contraddistinto la Terra del Sol Levante: non me ne voglia Shinkai e l’acqua del suo Weathering ma, questo film lo fa sembrare davvero un dilettante complice soprattutto il fatto che sia pieno di veri e propri veterani del mestiere. Su una nota più leggera invece il classico doppiaggio nonché adattamento di Dynit resta sempre buono, per quanto personalmente adori Alessio Puccio come doppiatore, ogni volta che lo ascolto mi sembra di sentire Gumball: se mi stai leggendo, Ale perdonami. Giuro non sei tu, sono io.

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Maestro di Karate e Amicizia: temprato dall’intrattenimento nipponico vecchia scuola e dal collezionismo, il suo sogno è quello di avere in giardino lo Unicorn Gundam di Odaiba.

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