Il 2025 sarà ricordato a lungo come uno degli anni ludicamente più ricchi delle ultime decadi e Ghost of Yōtei ne è uno degli alfieri più blasonati. Il nuovo titolo di Sucker Punch arriva a distanza di circa cinque anni da Ghost of Tsushima che, all’epoca, ha saputo sbalordire e appassionare, anche e soprattutto per il grande fascino di un setting desiderato, ambito, con un bagaglio culturale e narrativo potenzialmente illimitato.
Dal 2020 ad oggi, però, di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta. Il setting del Giappone feudale ha, indubbiamente, cambiato sapore, ha smarrito quel fascino esclusivo che negli anni di Tsushima aveva un peso specifico diametralmente opposto, anche a causa dell’arrivo di produzioni, più o meno importanti, che hanno, inevitabilmente, fatto calare l’hype intorno a un setting sempre più inflazionato e meno originale.
Ghost of Yōtei, comunque, rimane un gioco godibilissimo e appagante e sicuramente vince il confronto a distanza con Assassin’s Creed Shadows, con cui condivide un bel po’ di aspetti, a partire dal setting. Anche quella di Atsu è una storia di vendetta, ma il taglio autoriale e creativo di Sucker Punch è risultato nettamente più cristallino ed evidente, per quanto si è anche giocato parecchio “al risparmio”, ed è dannatamente evidente.
Il nuovo capitolo di quella che, ormai, è una saga a tutti gli effetti per Sucker Punch, avrebbe potuto e dovuto dare di più, ma nella sua straordinaria ordinarietà risulta un prodotto quasi imperdibile, specialmente per quei giocatori per cui il setting del Giappone feudale e i suoi crismi è ancora un motivo di interesse, o per chi ha amato alla follia Tsushima. Ghost of Yōtei è un more of the same che ci piace, funziona e appassiona, a patto, però, di non aspettarsi un capolavoro generazionale. In questo caso, la lama di Atsu potrebbe farvi male.
- Titolo: Ghost of Yōtei
- Piattaforma: PlayStation 5
- Versione analizzata: PlayStation 5 (EU)
- Genere: Avventura, Azione
- Giocatori: 1
- Publisher: Sony Interactive Entertainment
- Sviluppatore: Sucker Punch
- Lingua: Italiano (testi e doppiaggio)
- Data di uscita: 2 ottobre 2025
- Disponibilità: retail, digital delivery
- DLC: nessuno
- Note: nonostante sia un seguito di Ghost of Tsushima, i due giochi non sono direttamente collegati e si tratta di due esperienze stand-alone
Abbiamo recensito Ghost of Yōtei con un codice PlayStation 5 fornitoci gratuitamente da Sony Interactive Entertainment Europe.
Una danza mortale, ma sublime
Non giriamoci troppo intorno e partiamo subito con l’aspetto che più ci ha colpito, talvolta sinceramente estasiato, di Ghost of Yōtei: il combat system. Sucker Punch ha ripeso a piè pari l’ottima intelaiatura del suo predecessore, impreziosendola con una nutrita schiera di accorgimenti, migliorie e puntellature, fino a renderla un piccolo paradiso ludico. La formula generale rimane quella, con l’enfasi posto sulle lame, sul saperne osservare i movimenti e capirne ogni segreto.
Ogni colpo è un meraviglioso frastuono, uno scintillio di lame che si scontrano, che volano via, in una danza mortale che avanza e risuona nel silenzio di un Paese in cui l’unica legge, ovviamente, è quella del più abile e spietato. Ghost of Yōtei sublima alla perfezione, o quasi, un sistema ludico già di per sé intelligente e ben congegnato, che viene ricalcato con decisione e fierezza e che, a conti fatti, rappresenta indubbiamente uno degli aspetti più vincenti della produzione.
Ghost of Yōtei è ancor più spettacolare e “tecnico” del suo predecessore. Il tempismo è la chiave di ogni scontro, come sempre, ma stavolta a giocare un ruolo predominante è anche l’utilizzo delle nuove armi, che oltre a dare varietà al combattimento in sé offrono anche un’estensione del concetto ruolistico, che rimane sempre timidissimo, ma che comunque acuisce quella sensazione di maggior profondità dell’opera. Scegliere l’arma giusta tra Kusarigama, Odachi, Doppie lame e Katana è un passo importante, hanno un sistema di debolezza e resistenza reciproca interessante, ma è chiaro che il focus dell’esperienza rimane sempre la bravura col pad e con le tempistiche di parata e attacco.
Al netto di ciò, l’utilizzo delle varie armi rimane comunque molto stimolante. La varietà offerta delle diverse lame è invidiante e attraente, anche perché riesce, seppur forzatamente, a dare agli scontri una maggior longevità e profondità. Sucker Punch ha giocato in maniera intelligente anche con un sistema di parate e schivate più elaborate, marcate con un colore diverso (blu, giallo, rosso) e dobbiamo ammettere che, a conti fatti, tutto quello che è stato inserito nel pacchetto ha il suo perché e funziona decisamente bene, per quanto alcune annose limitazioni rimangono immutate.
Per l’onore, per la vendetta, per il sangue
Ludicamente parlando, Ghost of Yōtei, specialmente quando si tratta di combattere (l’avrete capito) è un piccolo capolavoro. Durante le nostre sessioni di gioco ci siamo sinceramente lasciati trasportare dalla voglia di combattere, di lasciar parlare l’acciaio al nostro posto, sulle ali di un entusiasmo potenzialmente infinito nel poter mettere le mani su un amplesso ludico tanto stimolante e profondo. Il problema è che, però, di contorno, ci sono le solite limitazioni, figlie tanto del lavoro non sempre perfetto di Sucker Punch, quanto di quelle di un genere a cui manca un vero pioniere, capace di sovvertire le leggi del gioco in maniera radicale.
In Ghost of Yōtei, in primo luogo, torna quel vero e proprio “incubo” della telecamera, a cui il team non ha saputo porre veramente rimedio, nemmeno con l’introduzione – finalmente – del lock on sui nemici. A onor del vero, va detto che questa meccanica è quasi nascosta, non viene praticamente mai svelata in maniera ufficiale, a testimonianza di quanto, onestamente, anche lo stesso team di sviluppo sembra crederci molto poco. Ne consegue che è veramente facile finire colpiti quando si affrontano più nemici contemporaneamente, specialmente quando ci sono sullo sfondo gli arcieri o, comunque, i nemici che prediligono lo scontro a distanza (per quanto siano comunque pochi).
Un altro grande problema è l’intelligenza artificiale. I nemici, come sempre, alternano momenti di grande furbizia a scivoloni inspiegabili, compreso il solito handicap nel cercare di non vedere Atsu a un palmo dal naso, a non riconoscere i cadaveri disseminati dal passaggio dell’Onryō, e ad attaccare rigorosamente in fila indiana, salvo in rare eccezioni, magari quelle in cui si rende necessario la spiegazione di nuovi comandi e nuove dinamiche di gioco, specialmente quelle legate alle meccaniche di difesa e contrattacco.
Facendo la conta, però, è innegabile che l’ago della bilancia penda nettamente dal lato forte della barricata. Ghost of Yōtei è una vera goduria sensoriale quando si parla di combattimenti, e questa sensazione cresce di ora in ora, con l’aumentare del livello di difficoltà. Rimanendo in tema, però, dobbiamo ammettere che non sempre il bilanciamento ci è sembrato a fuoco, con alcuni picchi, verso l’alto o verso il basso, a volte poco spiegabili, anche contro i boss e i nemici “speciali” e che ci hanno fatto un po’ storcere il naso.
Un monito contro lo spreco della vita
Ghost of Yōtei, a essere sinceri, affonda le sue radici narrative in un amplesso tematico e strutturale decisamente ordinario, quasi ridondante. Saturo. Atsu è l’ennesimo simbolo della vendetta, di vite infrante ingiustamente e di innocenti che cadono sotto il giogo politico, e la sensazione di avere per le mani un racconto che sa già ampiamente di visto e sentito non abbandona mai veramente il giocatore. Perché, a conti fatti, è proprio così, e non viene praticamente mai fatto nulla per bocciare questa sensazione, o per renderla meno forte nella mente di chi tiene in mano il pad.
Atsu è un personaggio fortemente cupo, segnato dal dolore e incapace o quasi di sorridere alla vita. E come potrebbe? Del resto, il cattivo di turno, super inflazionato e scritto in maniera spudoratamente ordinaria, ha spazzato via ogni cosa, le ha tolto tutto: madre, padre, fratello. La casa. Tutto. Lord Saito e il suo gruppo di seguaci, i “Sei di Yōtei”, rappresentano ogni cosa. Sono loro che hanno portato via tutto ad Atsu e, ovviamente, tutta la storia ruota intorno al desiderio di quest’ultima di ricambiarli, uno ad uno, con la stessa moneta, magari piazzandoci un po’ di interessi qui e lì.
Ghost of Yōtei, sotto questo aspetto, non sorprende e non colpisce più di tanto. Va detto, ma va anche elogiato il fatto che il mondo di gioco, il contesto storico e geopolitico che ruota intorno agli avvenimenti viene rappresentato in maniera dinamica, viva. Per intenderci, seppur Atsu rimane la protagonista indiscussa della storia, ed è giusto così, si ha la la continua sensazione che, giustamente, il mondo continua a muoversi anche al di là di ciò che accade alla protagonista. I nemici di Atsu sono un po’ i nemici di tutti, e lo si capisce perfettamente, lo si respira nell’aria. I Sei di Yōtei, con Lord Saito a capo, hanno letteralmente spaccato in due la popolazione: c’è chi segue il vento e chi si nasconde, e ancora una volta torniamo a quella sensazione di deja vu che un racconto simile si porta dietro giocoforza.
Quello che colpisce di più è il fattore emotivo. Vi ho descritto Atsu come un personaggio vuoto, evidentemente provato, ed è proprio questo aspetto a renderla così vera, autentica, nonché un simbolo con cui entrare facilmente in simbiosi. Atsu ha perso tutto, e impersonarla vi farà sinceramente avvertire tutto il peso di una vita vuota, senza scopo alcuno, se non quello di portare via ogni cosa, col sangue e con l’acciaio, a chi ha frantumato la sua infanzia, con un frastuono spaventoso e doloroso. Essere Atsu è genuinamente doloroso, è un colpo al cuore continuo, e sotto questo aspetto, il lavoro di scrittura di Sucker Punch non ha molti rivali sulla piazza.
Un mondo tutto da esplorare
Analizzati gameplay e narrazione, bisogna passare all’esperienza di gioco in sé. E qui, onestamente, i colpi di genio sono ridotti all’osso. Ghost of Yōtei è un open world molto classico, che permette al giocatore di esplorare il mondo di gioco in maniera più o meno libera, sin dalle prime battute, dandogli quasi totale carta bianca sul come seguire la difficile scia di vendetta che Atsu porta nel cuore. Questo, unito a uno scenario bello e appagante anche da vedere, confezionano un’esperienza di gioco tutto sommato vincente, per quanto per nulla originale. Atsu ha davanti a sé un bel po’ di cose da fare, prima di andare a caccia delle teste dei Sei, e sta al giocatore decidere come e quanto tempo dedicare a tutto ciò che rappresenta il contorno alle attività principali.
Il sistema è un po’ confusionario, perché le attività sono catalogate in maniera un po’ strana e, sopratutto, i menù di gioco sono spesso poco chiari, anche quando si tratta di gestire gli equipaggiamenti e i vari oggetti a disposizione della protagonista. Anche la stessa mappa non è esattamente chiarissima e persino i potenziamenti sono legati a determinati personaggi, non sempre segnati in maniera intelligente sulla mappa di gioco. Per fortuna c’è il viaggio rapido, che snellisce parecchio questi aspetti un po’ macchinosi, ma in generale permane una sensazione di fatica quando si va in giro a caccia di tesori, potenziamenti o nemici special da affrontare.
Abbiamo apprezzato, invece, parecchio la presenza di numerosi eventi “dinamici”. Spesso, infatti, andando in giro ci si imbatte in nemici che danno la caccia alla stessa Atsu o, semplicemente, abusano degli innocenti, e molto spesso si interviene anche senza alcun tornaconto, proprio come dovrebbe essere in questi casi, anche nella vita reale. Le missioni principali, dunque, sono fondamentalmente la caccia ai membri principali della cricca di Lord Saito. Queste missioni, però, si rompono, si aprono, e prevedono soluzioni ludiche molto canoniche. Dall’introduzione nelle roccaforti nemiche fino al cercare tracce, senza dimenticare di passare per le lezioni dai maestri delle varie armi: è tutto molto classico, ma funziona a dovere, per quanto alcune missioni “stealth” sono decisamente troppo lunghe e snervanti.
Ghost of Yōtei dà il meglio di sé con il contorno. Le cacce, ad esempio, permettono di affrontare sfide dall’elevato tasso di spettacolarità, e soprattutto permettono di esplorare la mente e la vita di avversari, molto spesso, spietati ma con una bella storia da raccontare. Tralasciando alcune promesse mantenute soltanto a metà sulla libertà di approcciarsi alle missioni della campagna, Yōtei funziona. È un titolo appagante, lucidamente, è un amplesso di ordinarietà che ci piace. Non vuole rivoluzionare nulla, vuole essere quello che è e lo fa nella maniera giusta, tranne in qualche caso in cui le idee non funzionano alla perfezione.
Una cartolina, con qualche piega, in movimento
Parliamoci chiaro: Ghost of Yōtei, sotto il piano artistico, non è secondo a nessuno. Sucker Punch ha creato un mondo di gioco talmente bello, emozionante, affascinane e solenne da risultare quasi un sacrilegio imbrattarlo con il nostro passaggio, tra fango, impronte e tanto sangue. L’immaginario creato dal team di sviluppo per questo secondo capitolo della serie è ancora più ambizioso, sorretto da un lavoro minuzioso e intelligente che si percepisce chiaramente in tutte (o quasi) le sue sfumature. Parlando di sfumature, però, come la via, Ghost of Yōtei non è mai bianco o nero.
Anche sotto il profilo estetico, infatti, il gioco risulta un meraviglioso grigio, con tanti livelli cromatici nel mezzo. Vi abbiamo già accennato della bellezza dei suoi paesaggi e del suo mondo di gioco, in generale, ma non vi abbiamo spiegato nel modo migliore quanto, a livello puramente scenico, Ghost of Yōtei riesca ad essere semplicemente meraviglioso, a tratti inspiegabile. Ogni singolo angolo del mondo di gioco è una vera e propria cartolina in movimento, con un gioco cromatico vincente, spavaldo, violento, che ruba decisamente la scena. Con merito.
Molto spesso, tra una galoppata e l’altra, ci siamo volutamente fermati a osservare il panorama, ci siamo persi tra i fiori di una vegetazione folta e rigogliosa o abbiamo ammirati i primi raggi di un sole virtuale impossibile da trovare altrove. Anche il design di armi e indumenti fa molta scena, e non è una cosa da poco, specialmente considerando il nutrito numero di variabili che il gioco sa offrire, già dalle prime ore. Dunque, dov’è questo dualismo qualitativo? Purtroppo, nella stabilità e nella resa tecnica, che non è altrettanto accattivante. Ghost of Yōtei è un titolo molto ambizioso e offre un impianto visivo impressionante, ma per farlo è costretto a scendere a compromessi.
Il più evidente è quello del riciclo degli asset. I nemici ordinari sono praticamente sempre (o quasi) gli stessi e, soprattutto, molto spesso si imbattono in movimenti a dir poco discutibili. Anche la protagonista, Atsu, non ha esattamente il pieno controllo del suo corpo in certi movimenti, scalando o finendo “fuori mappa”, per fare un esempio, esponendo il gioco a glitch visivi tutt’altro che piacevoli. Anche le animazioni facciali sono veramente obsolete e, in generale, il preset prestazioni, l’unico che consente di tenere i 60 FPS su PlayStation 5 base, va a impattare parecchio sulla qualità di alcuni sfondi e oggetti di contorno, soprattutto nelle mappe al chiuso.
Bonus track: il valore della musica
Questo, chiaramente, può essere visto come un problema “secondario” e ci può stare. Quello che però stufa è che scalando di preset, puntando magari al ray tracing, si ha di fronte un gioco quasi diverso, il che rende la forbice delle prestazioni un po’ troppo vistosa, anche se è tutto sommato comprensibile, specialmente se si considerando le “feature” esclusive di PS5 Pro. Nel complesso, comunque, il lavoro svolto da Sucker Punch è da promuovere in ogni caso. Gli scivoloni ci sono, e alcune cose hanno anche un peso tutto sommato importante, ma è chiaro che facendo la conta dei pro e contro, il risultata debba per forza di cose essere a favore dei primi.
Quello che ci ha veramente colpito, invece, è la cura per il comparto sonoro. Ghost of Yōtei è accompagnato da una colonna sonora meravigliosa, solenne, magica. La stessa Atsu, giocando sulla sua passione giovanile della musica, accompagna spesso i suoi viaggi con qualche strimpellata, catturando così l’attenzione su quello che è un immaginario nuovo, almeno per la serie, con ottimi risultati. La musica è una parte importante del gioco, a cui sono legate anche diverse missioni. È una bella idea, e dona valore a un elemento che spesso viene valorizzato soltanto in parte, ma che sta diventando sempre più predominante.
Anche il doppiaggio italiano è un centro perfetto. Lo staff di PlayStation, ancora una volta, ha dimostrato quanto valore pone sull’interpretazione per le sue esclusive, e l’ultima fatica di Sucker Punch ne è una prova a dir poco perfetta.
Diventa un altro tipo di spettro e assisti a una nuova ardita storia che si svolge sullo splendido sfondo del Giappone settentrionale e i suoi aspri paesaggi. Ambientata 300 anni dopo l’acclamato Ghost of Tsushima, questa esperienza a sé stante segue le gesta di una mercenaria inquieta e solitaria di nome Atsu nel 1600. Assetata di vendetta, decide di dare la caccia agli assassini che hanno sterminato la sua famiglia molti anni prima. Nella sua ricerca di una banda composta da sei fuorilegge esplorerà Ezo in lungo e largo fino ai suoi confini inesplorati.
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A chi consigliamo Ghost of Yōtei?
È impossibile non consigliare Ghost of Yōtei a tutti quelli che hanno amato il “primo capitolo” della serie di Sucker Punch, Ghost of Tsushima. Non solo: il lavoro di Sucker Punch è perfetto anche per chi è alla ricerca di una storia dai canoni tipici dei racconti sui samurai, sulle loro gesta e sul valore della vendetta.
- Sistema di combattimento sempre più appagante
- Open world ordinario, ma coinvolgente
- Storia già vista, ma funziona comunque
- Artisticamente molto ispirato
- Comparto sonoro al top
- Alcune noie relative all’intelligenza artificiale permangono
- Combattimento non sempre godibile a causa del sistema di puntamento
- Mappa non semplicissima da seguire e leggere
- La parte centrale è un po’ troppo ripetitiva
Ghost of Yōtei
Di sangue e acciaio
Ghost of Yōtei non è un titolo geniale o rivoluzionario, anzi, ma è esattamente quello che ci saremmo aspettati. E funziona. Sin dal suo annuncio, abbiamo immaginato di trovarci per le mani un perfetto “more of the same”, rispetto al suo predecessore e, di fatto, è esattamente così. Ogni aspetto di Tsushima viene replicato e migliorato, e a volte si toccano punti altissimi sotto il piano del gameplay e della resa visiva, ma non siamo comunque di fronte a un titolo in grado di spostare gli equilibri, né tantomeno a un system seller e nemmeno vuole essere. È un’esperienza godibilissima e appagante, a patto, però, di non aspettarsi il capolavoro generazionale.


























