Trek to Yomi – Recensione

Abbiamo recensito Trek to Yomi, nuovo adventure game di Flying Wild Hog pubblicato da Devolver Digital e dallo spiccato sapore giapponese

Trek to Yomi - Recensione

Ispirato al cinema storico giapponese anni ‘50 e ‘60, Trek to Yomi è il nuovo titolo sviluppato da Flying Wild Hog, già autori della serie action Shadow Warrior, in collaborazione con il designer indipendente Leonard Menchiari. Si tratta di un gioco che si distingue immediatamente per la componente estetica, per i suoi contrasti di bianchi, neri, e grigi, che rifiutano ostinatamente la vivacità dei fiori di ciliegio per imbastire una rappresentazione storica dell’epoca Edo il più filologica e brutale possibile.

Trek to Yomi - Recensione

  • Titolo: Trek to Yomi
  • Piattaforma: PC / Steam, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox Series S|X, Xbox One
  • Versione analizzata: Xbox Series S (EU)
  • Genere: Azione, Avventura
  • Giocatori: 1
  • Publisher: Devolver Digital
  • Sviluppatore: Flying Wild Hog
  • Lingua: Inglese (testi), Giapponese (doppiaggio)
  • Data di uscita: 5 maggio 2022
  • Disponibilità: digital delivery
  • DLC: colonna sonora digitale
  • Note: disponibile al lancio su Game Pass

Abbiamo recensito Trek to Yomi con un codice PlayStation 4 fornitoci gratuitamente da Devolver Digital.

Un ricordo doloroso

È tra le fiamme e la rovina che si aprono le vicende di Hiroki, samurai in cerca di redenzione dopo aver abbandonato involontariamente il proprio villaggio a una sorte nefasta. Una katana divide il volto emaciato del nostro eroe, un ostacolo visivo e morale, emblema grafico della giusta misura propugnata dal Bushidō, la via del samurai. Le parole del suo maestro riecheggiano nella mente di Hiroki, riportandolo a quel fatidico giorno in cui, appena un ragazzo, prese la sua prima vita…

I primi momenti di Trek to Yomi offrono subito un assaggio della meravigliosa regia del game designer. Dopo un tutorial bidimensionale piuttosto conciso ma efficace, in cui vediamo il giovane protagonista esercitarsi nell’arte della spada insieme al suo maestro, ci ritroviamo catapultati in un ambientazione tridimensionale viva e vibrante, in cui è la ‘fotografia’ a farla da padrone, amplificando le sensazioni dei giocatori attraverso una continua alternanza di prospettive.

Il villaggio di Hiroki è realizzato in maniera quasi documentaristica. Tutto, dalle architetture agli abiti dei paesani, trasuda autenticità, invogliando l’utente a fermarsi per ammirare la meravigliosa messa in scena, che coniuga la vitalità della vita campestre alla flemma nipponica che tutti conosciamo.

Un sottile senso d’urgenza serpeggia però tra le strade. Il ragazzo, accompagnato da Aiko, figlia del suo maestro e amica d’infanzia, fiutato il pericolo, si sta affrettando alle porte del villaggio in cerca del sensei. Una volta raggiunta la meta, Hiroki verrà però accolto da una visione raccapricciante: cadaveri di uomini e animali giacciono a terra inermi, segno inequivocabile delle razzie dei banditi. Completando il primo stage, come i successivi non particolarmente ispirati dal punto di vista del level design, ci troveremo faccia a faccia con il capo dei briganti.

Trek to Yomi - Recensione

Breathe in, breathe out, open your mind

È così che Hiroki si ritrova a vestire, prematuramente, i panni di protettore del villaggio. Non c’è spazio per i sensi di colpa, né tantomeno per l’esitazione, solo per un ultimo sguardo al corpo che cade, emblema di un’infanzia perduta. I primi scontri di Trek to Yomi mostrano immediatamente l’importanza di un giusto equilibrio tra difesa e offesa. Per riuscire a sopravvivere ai fendenti nemici sarà necessario deflettere i loro colpi con il giusto tempismo, conservando così la propria stamina, per poi contrattaccare con la grazia e la secca brutalità di un vero guerriero.

Per quanto il gioco presenti anche fasi esplorative, piuttosto lineari ma sicuramente d’atmosfera, il combattimento ricopre un ruolo preponderante all’interno della produzione. Gli scontri, diversamente da Shadow Warrior, sono asciutti e calcolati: i nemici attaccano secondo un ordine, in base alla propria posizione, lasciando al giocatore il tempo di studiarne i move-set, così da liberarsene nella maniera più rapida ed efficiente.

Per ottenere tale risultato, oltre ad alcune armi a distanza con cui sfoltire le orde di avversari, si avranno a disposizione diverse combo di fendenti, disseminate nel mondo di gioco come collezionabili. Eseguire tali elaborate mosse si rivela però più difficile del previsto: il ritmo incalzante della battaglie e i giochi di prospettiva rendono difficile eseguire attacchi complessi, facendo spesso optare per un approccio più diretto. Questo può risultare nella spiacevole sensazione di non avere il totale controllo sul personaggio o, persino, mortificare il combat system, riducendone al minimo le possibilità.

Questioni di prospettiva

Non sono dunque le battaglie in sé a rappresentare l’ostacolo più grande sul nostro cammino, ma la sapiente regia di Menchiari, che ibrida costantemente Kurosawa con Playdead, abbandonandosi saltuariamente a inquadrature che non sfigurerebbero in un Resident Evil. La mescolanza di stili contribuisce a generare una perpetua sensazione di spaesamento che, se da una parte aumenta la tensione e il coinvolgimento dell’utente, dall’altra rende l’azione a schermo poco leggibile, portandoci a perire per mano di un nemico sfuggito alla nostra spada, o a perderci qualche utile upgrade o collezionabile collocato al termine di una strada secondaria.

Per riuscire a farsi trovare preparati per la battaglie più ardue sarà pertanto necessario aver esplorato i livelli con grande attenzione, raccogliendo gli oggetti necessari all’aumento delle statistiche e delle munizioni, pena una disonorevole sconfitta sul campo di battaglia, aggravata dalla consapevolezza  di non poter tornare indietro per correggere i propri errori.Si tratta però di difetti di poco conto, soprattutto considerando la bellezza di alcune schermate, veri e propri quadri in movimento, accompagnati da un sound design degno di lode, che oltre a esaltare l’eccellente doppiaggio giapponese e la calzante colonna sonora, farà sobbalzare i giocatori più e più volte lungo le circa 7 ore necessarie a completare l’avventura.

A chi consigliamo Trek to Yomi?

Forte dell’influenza di tanti generi e produzioni, Trek to Yomi è un titolo apertamente celebrativo, tanto della tradizione cinematografica cui fa riferimento quanto di quella videoludica. L’impostazione da adventure game bidimensionale è quella dei titoli di Playdead, Limbo e INSIDE, mentre il combattimento, nonostante un tasso di sfida decisamente più permissivo, ricorda da vicino quello di Sekiro: Shadows Die Twice. E ancora, come non citare, in virtù della vicinanza tematica, Ghost of Tsushima, Onimusha, o l’ancor più brutale Nioh. Ma Trek to Yomi, grazie a una difficoltà decisamente più gestibile, è consigliato tanto ai giocatori hardcore quanto a chi sia alla ricerca di un’esperienza dallo spiccato taglio cinematografico, che ricorda dichiaratamente alcuni grandi capolavori del cinema storico giapponese.

Trek to Yomi - Recensione

  • Una regia estremamente abile
  • Stilisticamente sublime
  • Combattimenti divertenti…

  • …Ma ludicamente modesti
  • L’azione non è sempre chiarissima
  • Una storia non particolarmente originale
Trek to Yomi
4

Un'avventura dal forte impatto visivo

Nonostante un level design semplice e a tratti poco chiaro e un combat system piacevole ma dal potenziale parzialmente inespresso, il gioco di Flying Wild Hog e Leonard Menchiari offre un’esperienza intensa e a tratti memorabile. Non è di certo nella narrazione, ancorata fieramente agli stilemi del genere, che il titolo riesce a eccellere, ma nella regia sempre attenta e presente, che enfatizza ogni situazione con grande abilità. Il bianco e nero, impreziosito da un effetto visivo simile alla grana della pellicola, ben si addice a un racconto di dualismi, quali morte e rinascita, onore e vendetta, amore e sacrificio, mascherando con intelligenza i limiti tecnici, evidenti soprattutto nelle animazioni facciali. Purtroppo Trek to Yomi rimane a un passo dall’eccellenza, trattenuto da un gameplay troppo povero per permettergli di guadagnarsi il titolo di “capolavoro” e da una narrazione priva di particolari guizzi. Eppure siamo convinti che, supportata da una regia tutt’altro che disattenta e da un amore filologico per il Giappone storico, l’ultima perla di Devolver Digital possa guadagnarsi tranquillamente un posto nella memoria dei giocatori, sperando che l’industria videoludica continui a graziarci con altri ‘indie’ ad alto budget dalla spiccata autorialità.

Dopo anni di relazione con la sua prima fiamma, il cinema, ha finalmente abbracciato il suo amore adulterino per il videogioco, abbandonandosi a un mondo di indie, soulslike e JRPG. Gioca per passione, scrive per necessità.

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