Isekai: perché questo sottogenere ha così tanto successo in Giappone?

Il genere di manga e anime Isekai è più popolare che mai in Giappone, e anche nel resto del mondo. Scopriamo insieme per quale motivo

Isekai: perché il genere ha così tanto successo in Giappone?

I giapponesi e il sottogenere isekai sembrano due coefficienti della stessa equazione: distanti (forse anche troppo) ma in perpetua e costante ricerca l’uno dell’altro. Il mondo otaku nipponico sembra essere fortemente attratto da un immaginario oltre la realtà, un mondo non controllato dalle logiche fisiche dettate dalla quotidianità e dalla monotonia. La voglia di allontanarsi dalla stressante routine è un leit motiv giapponese: il bisogno di distaccarsi dalla realtà fattuale si concretizza attraverso immaginari finzionali che quasi nulla hanno a che fare con ciò che ci circonda.

L’ambito videoludico è stato sicuramente quello più studiato e di cui si è più dibattuto nel corso degli anni grazie a numerosi studi fatti in merito, per concretizzarsi alla fine come un universo speculare, una dimensione alternativa in cui sfogare i propri istinti repressi e soprattutto un mondo in cui rifugiarsi quando abbiamo bisogno di scappare allo stress quotidiano. Per i giapponesi tutto ciò non è estraneo, essendo in primis uno dei Paesi più indirizzati verso una tradizione videoludica più che prolifica, ma soprattutto essendo uno dei popoli al mondo con il maggior tasso di stress dovuto al lavoro, all’istruzione e alla vita sociale in generale. Ciò ci porta subito ad individuare il fulcro di questa trattazione e già forse un embrionale risultato di questa breve ricerca teorica sul perché gli isekai siano così diffusi in ambito nipponico.

The Rising of Shield Hero

Iniziamo partendo proprio dalla definizione base del termine, che si configura come raccoglitore di tutti quegli anime, manga e light novel in cui uno o più protagonisti si trovano intrappolati, per varie vicissitudini, in un mondo completamente estraneo al proprio. Esempi famosissimi sono sicuramente Sword Art Online, Overlord, The Rising of Shield Hero, Log Horizon per citarne solo alcuni. La comunanza di queste opere è sicuramente quella che esemplifica poi il fulcro di questo genere, ovvero un personaggio solitamente maschile incapace di sviluppare relazioni sociali o comunque di vivere appieno la propria vita comunitaria che si ritrova catapultato in una condizione di centralità grazie al passaggio in un mondo di fantasia non esistente. Questa voglia di apparire quello che non si è in realtà può essere interpretata come la voglia dei nerd giapponesi di assumere un ruolo attivo in un’avventura o comunque metaforicamente nella difficile vita a cui la società giapponese obbliga i propri abitanti.

Sicuramente la voglia di scappare da una deindividuazione forzata porta a volersi rifugiare nel mondo dei propri sogni, un universo solitamente fantasy e avventuroso in cui in prima persona possiamo agire sulle sorti del destino. Il videogioco non a caso ha proprio questo scopo, attraverso il quale vestiamo i panni dell’eroe protagonista per cambiare il destino avverso. Ma molto spesso negli anime, nei manga e nelle light novel di questo genere vediamo la rappresentazione non di un maschio alfa, caratterizzato da uno spirito forte e noncurante del pericolo: quasi ogni volta ci troviamo di fronte a nerd emarginati, che non riescono a raggiungere l’obiettivo del loro desiderio — che può essere amoroso o anche personale — e che sognano di interpretare un ruolo sociale differente e che gli permetta di avere successo in svariati campi. La vita reale, ahimè, non dà questa possibilità agli sfortunati protagonisti, troppo sovrastati dallo stress quotidiano e dal fallimento dettato dalla loro inadeguatezza nel tessuto sociale: è il mondo videoludico a rappresentare quindi non solo l’oggetto del desiderio, ma effettivamente il mezzo di riscatto del protagonista.

Log Horizon

Naturalmente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, non tutti i protagonisti sono ascrivibili esclusivamente a quell’immaginario di geek e disilluso nei confronti della vita: in alcuni casi il rimanere intrappolati nel mondo videoludico si trasforma in una tragedia, un avvenimento imprevisto che rasenta l’inimmaginabile e che si avvicina sempre di più alla fantascienza. Anche questa può essere una chiave di lettura molto interessante per comprendere il consenso così diffuso nei confronti degli isekai: light novel e corrispettivi derivati di opere come Sword Art Online, infatti, si indirizzano verso una dimensione leggermente deviata, configurandosi inizialmente come un mondo speculare in cui continuare la propria vita, nonostante ci si sia trovati intrappolati al suo interno, ma successivamente si presenta come un universo minaccioso da cui rifuggire. Per poi reimmergervisi volontariamente successivamente, una volta comprese le potenzialità non solo materiali che questo mondo ha da offrire, ma anche i benefici sociali, attraverso una comunità altrimenti non ricreabile nella vita quotidiana.

Non mancano senza dubbio le parodie legate a questo genere e a questo variegato universo. Kono subarashii sekai ni shukufuku o!, meglio conosciuto con l’abbreviazione KonoSuba, si configura come una versione parodistica rispetto agli isekai classici: un giovane protagonista che muore per un incidente banale, si reincarna in un altro mondo e viene affiancato da figure assolutamente stereotipate che però si presentano tanto potenti quanto inefficienti e non adatte a vivere in un mondo fantasy assoggettato da una gravosa minaccia. La peculiarità di quest’opera è proprio la sua valenza di autoriflessione nei confronti del genere di cui fa parte, ponendosi come un ponte tra la commedia e l’avventura pura. Configurandosi come un prodotto metadiscorsivo proprio indirizzato verso una riflessione che non vuole essere per nulla una critica, ma anzi un punto di discussione fertile per delle argomentazioni sul genere, come proprio in questo caso, KonoSuba è la concretizzazione di un sentire diffuso nei confronti degli isekai. C’è chi li ama incondizionatamente, chi invece afferma che la loro diffusione sia troppo massiccia soprattutto negli ultimi anni, saturando il mercato nipponico, altri ancora analizzano democraticamente le componenti stilistiche e diegetiche evidenziandone i punti di forza. Nonostante le differenti posizioni, non è vi è dubbio che gli isekai siano ad oggi uno dei terreni fertili nel mondo dell’intrattenimento giapponese su cui soffermarsi per comprendere analiticamente le implicazioni sociologiche che risiedono dietro una così diffusa voglia di distaccarsi dal mondo fattuale e immergersi in un fantastico universo alternativo.

KonoSuba

Una mahō shōjo che vive sommersa tra libri e fumetti, Pokémon e dadi di D&D. Divoratrice compulsiva di film e serie TV, nel tempo libero complotta con il suo gatto per conquistare il mondo. Sogna un giorno remoto di disegnare una storia a fumetti incentrata su una campagna di Dungeons & Dragons.

1 commento

  1. In Giappone la maggior parte del fandom animanga è costitutito da otaku maschi eterosessuali, impacciati con l’altro sesso e nella vita in generale, affamati di escapismo e di waifu e dai gusti spesso sempliciotti. Questo tipo di fruitore si è diffuso anche in Occidente. Purtroppo, l’industria degli anime al giorno d’oggi è in gran parte sostenuta da gente così, alcuni dei quali sono diventati animatori e registi a loro volta.
    Una volta era diverso, ma oggi il mercato degli anime è settorializzato in nicchie varie, e quella moe-harem-ecchi è diventata una delle più redditizie. Quando ancora gli isekai non si chiamavano così, erano serie semplici ma avvincenti dove il tizio/a di turno finiva in un altro mondo oppure nel passato, legava con gente del luogo e combatteva contro i nemici. L’estetica moe non aveva ancora preso piede e gli ecchi e le commedie harem erano un genere di nicchia, e quindi i punti forti di questi “proto-isekai” erano la storia e i personaggi, più eventuali legami sentimentali.
    Era escapismo anche quello? Certamente, ma almeno i vari Fushigi Yuugi, Escaflowne, Inuyasha eccetera avevano una dignità che i moderni isekai, concentrati esclusivamente sul wishfullfillment del protagonista maschile e su quanto siano” dere” le tipe che lo attorniano, non hanno.
    Per non parlare poi di Aura Battler Dunbine, il primo anime isekai della storia, una complessa storia tra il fantascientifico e il fantasy, e il semi-sconosciuto Twelve Kingdoms, che sono veramente su un altro pianeta.
    L’unico isekai nuova maniera che ho apprezzato è stato My Next Life as a Villainess, che nel suo piccolo riesce in qualche modo ad essere originale; inoltre la protagonista è molto simpatica e il fanservice femminile non è becero come quello maschile. Mi aspetto che anche l’imminente So I’m a Spider, so What?, che ha una premessa ancora più originale, sia qualcosa del genere.
    Quanto agli altri isekai, e alle serie per otaku in genere, sono talmente prevedibili che ormai mi basta guardare le prime immagini che escono per capire i caratteri dei personaggi, come agiranno e dove si andrà a parare… Non mi serve neanche guardare il trailer. ?

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