ALITA – Angelo della battaglia – Recensione del film di Robert Rodriguez

Dopo vicissitudini di produzione particolarmente articolate, esce finalmente nelle sale il live action di ALITA – Angelo della battaglia… sarà riuscito a convincerci?

ALITA – Angelo della battaglia - Recensione del film di Robert Rodriguez

Di ALITA – Angelo della battaglia se n’è parlato per molto tempo. Correva l’anno 2000 quando le voci su un possibile live action, tratto dal manga omonimo di Yukito Kishiro, divennero oggetto dei desideri di uno dei più importanti autori contemporanei, James Cameron.

Dopo anni e anni di speculazioni, cominciarono ad emergere notizie più concrete riguardanti però un nuovo progetto di Cameron, che nelle sue prime fasi prendeva il nome di Project 880, opera che poi si sarebbe rivelata al grande (anzi grandissimo) pubblico come Avatar. L’intenzione di Cameron era quella di creare un franchise che avrebbe non solo portato avanti di decenni la componente tecnica nel cinema (nello specifico si fa riferimento alla CGI), ma soprattutto dato un forte messaggio di preservazione del pianeta. Che l’obiettivo sia stato raggiunto o meno, Avatar è stato sicuramente uno spartiacque, tant’è che non è difficile ritrovarsi a parlare del cinema prima e dopo Avatar. Il fulcro del discorso è che, per quanto il regista americano abbia avuto fortemente a cuore il live action su Alita, era impegnato a lasciare un segno indelebile nella storia del medium.

ALITA – Angelo della battaglia

Fu così che il progetto passò al regista di Sin City e di Machete, Robert Rodriguez, pupillo di Quentin Tarantino che, con non poche difficoltà, riuscì ad avere la regia della pellicola. Cameron, infatti, chiese al regista di lavorare sulla sceneggiatura da lui stesso scritta e di inserire in quest’ultima una valanga di suoi appunti accumulati nel corso degli anni. Soddisfatto del lavoro portato avanti dal regista messicano, Cameron, che in quel momento possedeva i diritti del progetto, affidò la regia a Rodriguez e si limitò a produrre l’opera.

Correva l’anno 2563, sono passati ormai 300 anni dall’evento che la gente ricorda come “la caduta”. Un uomo vestito di nero con un cappello a tesa larga si muove facendosi spazio tra i detriti di una discarica, alla ricerca di pezzi di ricambio per androidi. Quando, in un cumulo di rifiuti, l’uomo nota un busto di donna e, grazie ad uno scanner, nota una particolare peculiarità: il cervello e il cuore di quello che sembrava essere un cadavere, erano intatti e funzionanti. Il misterioso uomo è il Dr. Daisuke Ido, mentre il busto trovato tra i detriti è quello della nostra protagonista. Da questo momento, la leggenda di Alita ha inizio.

Alita è il nome che il Dr. Ido dà alla giovane androide, poiché essa ha perso la memoria. Quando infatti Alita riapre gli occhi, lo spettatore si immerge assieme a lei nel suo “nuovo” mondo, cercando di ritrovare informazioni o ricordi di esso. Le vicende narrate si sviluppano nella Città di Ferro, spiantata baraccopoli costruita attorno alla discarica, dove vivono persone comuni e reietti, contrapposta a Zalem, la città aristocratica che si erge nel cielo.

Se come già detto partiamo alla scoperta del mondo insieme ad Alita, la sua conoscenza non è abbastanza, dato che durante la visione si avverte la necessità di saperne di più. In aiuto non vi è solo il manga, che ovviamente ha il tempo e lo spazio per esaminare nel dettaglio ogni aspetto dell’universo, ma anche la volontà (a questo punto, legittima) da parte della produzione di creare un franchise.

Quando Alita mette piede fuori dalla dimora del Dr. Ido, si ritrova davanti una città in declino, devastata dalla povertà, ma al contempo un posto ideale per coltivare sogni. L’incontro con Hugo, giovane ladruncolo di strada, è il primo passo della giovane androide per ricominciare, sognando con lui la città nel cielo. La figura del ragazzo sarà fondamentale per la crescita della protagonista, nonostante la scrittura non eccelsa propria di tutti i personaggi secondari della pellicola, che non vengono approfonditi nella maniera dovuta.

Per quanto concerne la componente tecnica, ci ritroviamo davanti ad un’opera con un’estetica eccelsa. Non solo, come di consueto nelle opere legate a Cameron, la pellicola vanta una CGI incredibile e un sapiente uso della motion capture, che si lega incredibilmente bene alla fotografia di Bill Pope e alle scenografie di Eddleblute e Joyner. Insieme, questi due fattori vanno ad accentuare la potenza atmosferica della pellicola.

ALITA – Angelo della battaglia

Prendendo in considerazione, invece, la componente registica, vi è la quasi completa assenza di personalità da parte di Rodiguez. La regia dell’opera non è pessima, al contrario è cristallina, ma è anonima e si limita a svolgere il proprio compito senza eccellere a livello stilistico. L’autorialità del regista viene messa in secondo piano, se non per qualche riferimento razziale all’interno Città di Ferro. Quasi come a sottolineare l’assenza della solita autarchia da parte di Rodriguez, anche la componente sonora non è all’altezza. Si sa che il regista messicano, prima di essere tale, è un musicista, e nella maggior parte delle sue opere non è difficile notare la sua presenza nella composizione dei brani o in particolari intuizioni sonore. Qui si ripete il discorso appena affrontato, non stiamo parlando di una brutta colonna sonora, ma le potenzialità degli addetti facevano presagire un lavoro di gran lunga migliore.

Le fascinose origini dell’Angelo

ALITA – Angelo della battagliaPer quanto non sia un film eccellente, il live action di ALITA – Angelo della battaglia riuscirà a conquistarvi con un’atmosfera ed un mondo incredibili, che vi porteranno a volerne sapere di più, anche a causa del finale aperto scelto dagli autori per la pellicola. Consapevoli dei difetti del prodotto, che derivano principalmente dalla mancanza dell’impronta stilistica del regista, ci ritroviamo di fronte ad uno splendido film d’origini, divertente ed avvincente, che riesce senz’ombra di dubbio a incuriosire lo spettatore, rendendolo ottimista per il futuro della neonata saga. In definitiva, il film è assolutamente consigliato agli amanti del genere fantascentifico, e anche la fanbase del manga non ne resterà delusa. Certo, bisogna entrare nell’ottica del fatto che è una produzione americana…

Consigliato a chi ama Alita e il cyberpunk

Cresciuto a pane e picchiaduro giapponesi, appassionato del lavoro di Hidetaka Miyazaki. Quando non rigioca alla saga di KINGDOM HEARTS, passa il tempo a difendere FINAL FANTASY XV dalle grinfie di BaSS.

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