PEGI 18: quanto può essere dannosa la superficialità di un genitore?

south park stick of truth cover

Quante volte vi è capitato di trovarvi dentro un negozio di videogiochi a fare i fatti vostri e sentire ragazzini chiacchierare in preda all’isteria circa l’ultimo Grand Theft Auto (Gittiaccingue, nel loro linguaggio) o l’ultimo sparaspara di turno? Tutte le volte. I negozi sono invasi da mandrie di minorenni che giocano determinati titoli per sentirsi più grandi, per far parte di un’elite, per non essere considerati bambini. Cosa importa se esistono centinaia di titoli più adatti a loro, in grado di emozionare con avventure e storie che non potranno mai vivere sulla propria pelle, o favolosi racconti che riporterebbero in vita quel lato incredibilmente fantasioso lasciato indietro troppo presto assieme alla propria infanzia?

Questa è solo una premessa per raccontarvi ciò che mi è successo l’altro giorno, mentre bazzicavo nel solito negozio dove mi reco abitualmente per la mia ronda settimanale alla ricerca di offerte convenienti su titoli un po’ datati. Mi trovavo assieme alla mia ragazza di fronte allo scaffale con i titoli PS3, alla ricerca di un Essentials che mi ero ripromesso di prendere quando avessi avuto un periodo un po’ meno pregno di nuove uscite. Arriva il classico pingue bambino sulla decina, accompagnato dai propri genitori che, incurante di chi stava già accuratamente analizzando ogni singolo bollino giallo sulle custodie, si mette a scartabellare fino a uscirne vittorioso con in mano una custodia da prenotazione che repentinamente mostra ai propri genitori: « VOGLIO QUESTO! »

Si trattava di South Park: Il Bastone della Verità. Io e la mia ragazza ci guardiamo istintivamente con uno sguardo a metà fra il disgusto e il divertimento, iniziando a commentare sottovoce. Sonde anali, evirazioni, blasfemie, razzismo sfrenato e« Smettila: non c’ho ancora messo mani e m’hai già spoilerato mezzo gioco! » riferisco prontamente alla mia accompagnatrice. Poco avvezzo all’interazione sociale con individui sconosciuti, decido di gustarmi la scena fino all’arrivo al bancone dove i genitori avrebbero dovuto scambiare la custodia da prenotazione con il gioco effettivo. Fortunatamente, si sono ritrovati con un commesso affezionato più alle sorti dell’umanità che a quelle dell’azienda per cui lavora, che ha sottolineato che South Park non è per nulla adatto a un bambino di quell’età; la dose è stata persino rincarata dal cliente in coda dopo di loro, che ha preso a elencare tutti i motivi per cui un titolo del genere non sarebbe stato propriamente il meglio a cui potessero puntare per far felice il bimbo. Fortunatamente i genitori hanno avuto il buon cuore di utilizzare col figlio una scusa del tipo “Eh, ma vedi? È tutto in inglese, non ci capiresti niente!” in modo da portarlo a scegliere qualcos’altro (nonostante fosse chiaramente indicato che il gioco è sottotitolato in italiano). Ciò che mi domando è: il bambino è andato dritto sul faccione di Cartman perché attirato dallo stile di disegno della copertina o perché fra i suoi compagni di classe non si fa altro che parlare di South Park e della sua lunga lista di contenuti sconsigliabili a un bambino delle elementari? Ok, anch’io avevo quattordici anni quando, in preda agli spasmi causati dal sonno e dalla tarda ora, non aspettavo altro che la mezzanotte per potermi fare quattro (amare) risate assieme a Stan, Cartman, Kyle e Kenny, ma riuscivo già a discernere realtà e fantasia, ciò che i bambini di oggi non sono più in grado di fare, perché la loro infanzia gli è stata rubata dalla società in cui vivono, che li costringe a crescere prima del necessario per non diventare vittime di bullismo o di esclusione da parte dei coetanei. Se un bambino potesse davvero scegliere liberamente a cosa giocare, a quali giochi punterebbe? Da piccolo adoravo Street Fighter e i giochi su licenza: ho iniziato da subito a praticare arti marziali e non ho mai smesso di seguire serie animate e film; un bambino che inconsciamente assorbe tutto ciò che lo circonda come una spugna e che gioca a titoli come GTA, che genere di interessi potrà maturare in futuro?

 

Cari genitori,
lo vedete quel numero su fondo colorato nell’angolo in basso a sinistra delle custodie dei giochi? Non si riferisce al numero di ore necessario a portare a termine l’avventura principale (alla durata del gioco, per farla breve) o alla sua difficoltà, bensì all’età minima a cui tale software è consigliato dal PEGI, ente europeo che valuta i videogiochi in base alla fascia di età e al contenuto degli stessi. Oh, vi dirò di più! Se girate la custodia, sul retro potrete ammirare, accanto al medesimo riquadro, una o più icone che indicano il motivo di tali scelte da parte dell’ente: violenza, paura, turpiloquio, contenuti a sfondo sessuale e così via. Nessuno obbliga i rivenditori, i clienti o voi genitori a seguire alla lettera tali indicazioni: si tratta semplicemente di consigli, che dovrebbero aiutarvi a indirizzare voi e i vostri figli in fase di acquisto.

Cari impiegati del PEGI,
non ve ne darò colpa, ma il vostro lavoro è utile quanto lisciare la coda ai maiali con la piastra per capelli. Finché non deciderete di investire ingenti fondi in un’adeguata campagna pubblicitaria su mezzi televisivi che possa istruire i genitori sul significato del sistema di valutazione, sappiate che la vostra è una battaglia contro i mulini a vento. Non trovo giusto che certe opere debbano essere censurate perché non si deve correre il rischio che possano intaccare l’infanzia dei bambini, ma non trovo altrettanto giusto che un ragazzino debba trovare così facile riuscire a procurarsi una copia di un gioco destinato a un pubblico di maggiorenni.

Trent’anni passati a inseguire il sogno giapponese, fra un episodio di Gundam e un match a Street Fighter II. Adora giocare su console e nelle sale giochi di Ikebukuro che ormai, per quanto lontana, considera una seconda casa.