htoL#NiQ: The Firefly Diary – Recensione

htoL#NiQ: The Firefly Diary – Recensione

htolniq-the-firefly-diary-recensione-boxartSoli. In un mondo desolato. All’improvviso una luce. Una fata di nome Lumen desta noi, una fragile fanciulla di nome Mion, da quello che sembra essere un sonno perenne. Come siamo finiti in un luogo così oscuro? Cosa è Lumen? Perchè vuole aiutarci? Ma soprattutto… chi siamo noi?

Questi e altri interrogativi vengono confezionati in una sorta di viaggio mistico e periglioso da Nippon Ichi Software in htoL#NiQ: The Firefly Diary. Il gioco (il cui titolo apparentemente impronunciabile è una rappresentazione grafica di quello giapponese, Hotaru no Nikki) viene finalmente reso disponibile anche in Europa, esclusivamente in digitale e solo in lingua inglese, dopo quasi un anno dalla versione giapponese. Il motivo rimane un mistero, visto che il titolo è quasi del tutto privo di dialoghi. Abbiamo sperimentato quindi una specie di titolo d’avventura in 2D misto a puzzle ed enigmi, nella speranza di venire a capo della nostra misteriosa sorte. Sarà riuscita Nippon Ichi a trovare il giusto connubio tra generi così diversi e a farsi perdonare la lunga attesa per il suo adattamento? Scopriamolo assieme.

  • Titolo: htoL#NiQ: The Firefly Diary
  • Piattaforma: PlayStation Vita
  • Genere: Avventura, Puzzle Game
  • Giocatori: 1
  • Software house: Nippon Ichi Software, NIS America
  • Sviluppatore: Nippon Ichi Software
  • Lingua: Inglese (testi)
  • Data di uscita: 4 marzo 2015
  • Disponibilità: retail, digital delivery
  • DLC: nessuno
  • Note: la versione retail Premium Edition è un’esclusiva temporale del NISA Europe Online Store

Siamo soli, in un luogo lugubre, in un mondo devastato da un non meglio specificato cataclisma. Stesi su delle macerie veniamo svegliati da una luce e da una voce sovrannaturale: la fata Lumen ci dà così il primo barlume di speranza per poter scoprire come siamo finiti in questa situazione, tutto quello che dobbiamo fare sarà seguirla. Apprendiamo quindi subito i comandi di gioco: la giovane Mion seguirà fedelmente la lucente fatina, che potremo muovere liberamente con l’uso di un semplice tocco, grazie al posizionamento di quest’ultima sul touchscreen frontale della console. Interagendo con vari elementi che ci si pareranno davanti, avremo modo di costruire e creare un percorso per poter proseguire verso l’ignoto, allungando scale, cliccando leve, spostando macerie, sollevando piattaforme, il tutto con un semplice tocco sullo schermo ogni qual volta sopra di esso ci sarà un lieve bagliore.

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Chi sono? Perché sono qui?

Dopo aver attraversato alcune condutture, Lumen ci “illuminerà” sul modo in cui poter riconquistare la nostra memoria perduta: sparsi nei vari livelli ci saranno dei fulgidi boccioli di color rosa, che rappresenteranno quelli che nel gioco vengono denominati Fragment Memories, ovvero i frammenti dei nostri ricordi; sebbene inizialmente sarà possibile imbattersi in alcuni di essi semplicemente avanzando sul percorso prestabilito, ben presto ci ritroveremo a doverli cercare (a volte anche in maniera spasmodica) nelle svariate zone in cui ci troveremo, andandoli a pescare in luoghi segreti e accessibili solo tramite la giusta combinazione di meccanismi.

Una volta conquistati gli agognati boccioli, ci ritroveremo ad affrontare delle brevi sezioni di gioco bonus (anch’esse senza dialoghi) dallo stile retrò a 16 bit, con tanto di musichette ripetitive, per tentare di capire e comprendere (e credeteci, ci vorrà davvero molta immaginazione per farlo) cosa abbia portato il mondo e noi stessi al collasso, interagendo nel passato di Mion con diversi oggetti e personaggi, come i suoi genitori e la sua vita prima del disastro in cui il mondo di gioco riversa attualmente.

Finché resti nella luce, nulla ti ferirà

Tutto sembrerebbe abbastanza lineare e comprensibile a questo punto, ma  la vera minaccia si nasconde dietro l’angolo: continuando la nostra esplorazione delle rovine sotterranee faremo la conoscenza di un’altra fata, che dall’inizio del gioco è sempre stata al nostro fianco ma che non si è mai palesata fino al momento del bisogno: Umbra. Come si evnice dal suo nome (e dal suo aspetto) ciò che differenzia la cupa Umbra dalla fulgida Lumen è la sua capacità di interagire diversamente da quest’ultima: essa avrà infatti la possibilità di spostarsi, grazie al tocco del touchpad posteriore, attraverso l’oscurità e le ombre degli oggetti e dello scenario proiettate da Lumen, in una sorta di istanza alternativa in cui il tempo si fermerà. Ciò ci permetterà di raggiungere o attivare meccanismi altrimenti irragiungibili dalla nostra fragile protagonista (avete presente Ghost Trick: Phantom Detective?), ma soprattutto essa ci permetterà di fronteggiare la grave minaccia che incombe sulla sfortunata protagonista: temibili e orripilanti creature oscure di varie dimensioni e potenza strisceranno e seguiranno la malcapitata ragazza attraverso il vasto mondo di gioco, pronte a ghermirla e ucciderla alla più favorevole occasione. Potremo sbarazzarci delle ostili creature con diversi metodi, per esempio innescando vari meccanismi che ne rellenteranno il passo, o provandole a schiacciare con enormi macigni.

Salva Mion, salva il mondo… o no?

Sebbene graficamente parlando il gioco si presenti in maniera davvero graziosa, con una grafica bidimensionale che lo fa sembrare quasi un fumetto che prende vita, dal lato tecnico il gioco pecca rovinosamente mostrando sin dall’inizio uno dei suoi grandi difetti: la lentezza. Sia la protagonista, sia la maniera di progredire nel gioco, cercando di comprendere come avanzare sbloccando i vari enigmi e cercando di non morire per un futile errore, risulteranno di una lentezza immane, per quanto possiate essere veloci e tattici nella risoluzione del puzzle potreste ritrovarvi a spenderci dieci minuti buoni per far arrivare Mion dall’altro capo dello stage, finendo nel contempo schiacciati, divorati o trafitti nella maniera più stupida possibile. Lo stesso utilizzo delle funzionalità touch di PlayStation Vita, cosa che oggigiorno viene data quasi per scontata ma che in realtà potrebbe dar vita a innovative interazioni con i giochi, che in The Firefly Diary risulta purtroppo molto legnosa e macchinosa: i comandi sono spesso imprecisi e più lenti del nostro tocco (soprattutto con Umbra) e seppur il gioco offra la possibilità di poter utilizzare il solo touchscreen frontale o addirittura gli analogici, non si potrà ovviare in alcun modo a codesti difetti. Il sonoro e la narrazione sono praticamente assenti, eliminando quasi totalmente ogni possibilità di coinvolgimento da parte del giocatore, portandolo esclusivamente a cercare di scervellarsi e arrovellarsi nel tentativo di terminare il gioco per cercare di capirci qualcosa (e credeteci, arrivare al finale non renderà le cose più chiare).

A chi consigliamo htoL#NiQ: The Firefly Diary?

Non è facile consigliare questo gioco, sebbene possa integrare in maniera non proprio perfetta un’avventura grafica con un puzzle game a enigmi, molti difetti scoraggerebbero i più coraggiosi avventori dal tentare di portarlo a termine. htoL#NiQ rimane sicuramente un gioco di nicchia, consigliabile a chi vuole mettersi alla prova nella risoluzione di enigmi che nel complesso son ben strutturati. Per il resto potete tranquillamente evitarlo.

  • Stile grafico particolare e ben strutturato
  • Schema di gioco interessante, grazie all’interazione tra Luce e Ombra

  • Gameplay lento
  • Comandi di gioco imperfetti, integrazione con il touch in primis
  • Poco coinvolgente
  • Alla lunga può risultare noioso
htoL#NiQ: The Firefly Diary
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Un'avventura che stimola ben poco

Purtroppo Nippon Ichi Software non è riuscita a sfruttare a pieno questa sua nuova IP. Sebbene l’assetto generale di htoL#NiQ: The Firefly Diary strizzi l’occhio agli appassionati di giochi in salsa retrò, con un’avventura in grafica 2D molto fluida e con l’introduzione di meccaniche interattive grazie all’uso delle funzionalità touch della console, il risultato è un titolo che ha del potenziale, ma che è stato sprecato cercando di nascondere (fin troppo) gli elementi della trama a fronte di un mero gameplay macchinoso e un po’ troppo legnoso.

Il Keyblade Master per eccellenza, o più semplicemente un ragazzo cresciuto a pane, cartoni animati e videogiochi. Otaku per amore, nerd per passione, Gunota per hobby.