Spider-Man: Homecoming – La nostra recensione

Spider-Man: Homecoming - La nostra recensione

L’arrampicamuri torna in casa Marvel con un divertente lungometraggio di esordio. Spider-Man: Homecoming approda finalmente nei cinema nostrani

E siamo a quota tre. Tre volte che assistiamo all’esordio di un nuovo Peter Parker al cinema, tre volte che un ragno radioattivo morde un giovane studentello nerd trasformandolo in uno dei supereroi più amati di sempre. Tre volte che vediamo ricominciare le vicende di Spider-Man sul grande schermo, direste voi. Invece no, come direbbe Fabio De Luigi facendo il verso a Carlo Lucarelli. Questo terzo e giovanissimo Uomo Ragno cinematografico ha voluto debuttare in maniera piuttosto diversa rispetto al passato, muovendo i suoi primi passi nel blasonato Marvel Cinematic Universe all’interno di Civil War, terzo capitolo della trilogia di Captain America nel quale due fazioni di eroi si sono scontrate per decidere chi doveva utilizzare il campetto da calcio nel fine settimana.

Facciamo un piccolo tuffo carpiato all’indietro: Tom Holland, prima di ammirarlo in azione, non mi convinceva granché nei panni dell’arrampicamuri, men che meno in quelli del giovane Parker. Lo ammetto, sono uno dei pochi fan sfigati sfegatati dell’Amazing di Andrew Garfield, e tuttora lo considero fisicamente il più somigliante a quello dei fumetti e più carismatico come attore per il grande schermo. Tuttavia, per una serie di innumerevoli ragioni, i due lungometraggi che lo hanno visto protagonista non sono riusciti a far breccia nel cuore dei fan, molti dei quali addirittura nostalgici all’idea di un fin troppo idealizzato ragno di Sam Raimi. Personalmente, non ho apprezzato quasi per nulla l’interpretazione di Tobey Maguire, e ritengo la prima trilogia un po’ troppo caricaturale e piena di forzature, un po’ come il Batman & Robin coi capezzoli in vista (e qui son convinto che mi attirerò l’odio di un sacco di gente).

Tuttavia, dopo l’esordio di Holland all’interno di Civil War mi sono letteralmente innamorato del suo Spider-Man: per quanto giovane, inesperto e diverso da tutti gli spruzzatele che abbiamo visto al cinema, l’alter-ego del giovane Peter funziona, buca lo schermo, quasi allo stesso modo del Deadpool di Ryan Reynolds (no, non quello di Wolverine: Le Origini). Per questo motivo, l’attesa per Spider-Man: Homecoming è subito diventata insostenibile. Ma ci siamo: 6 luglio, mi trovo in sala, posti centralissimi, tutto perfetto. Alla mia destra una Coca-Cola fredda al punto giusto e davanti ai miei occhi la consueta, nuova intro dei film Marvel con una musica di sottofondo piuttosto familiare. Il film si apre in maniera assai diversa da come me lo aspettassi, riportandoci con un geniale espediente nel bel mezzo della battaglia all’aeroporto di Civil War, per poi passare al punto di vista di quello che, secondo me, è stato uno dei cardini dell’intero film: l’antagonista principale portato sul grande schermo da Michael Keaton, un carismatico e verosimile Adrian Toomes, alter ego de L’Avvoltoio.

La pellicola si incastra perfettamente tra le vicende dei film degli Avengers e il già citato Civil War, ponendo come movente per le azioni di Toomes il “recupero” delle tecnologie aliene (e non) finite un po’ dappertutto nel corso degli scontri fra i Vendicatori e nemici vari. E mentre nella metropoli il buon Stark decide di istituire un organo che possa occuparsi dello smaltimento di tali scarti tecnologici, mettendo in difficoltà un lavoratore più o meno onesto come il personaggio di Keaton, nel Queens troviamo un Peter quindicenne alle prese con i suoi primi, eroici mesi da Uomo Ragno. Non assisteremo nuovamente alla morte di Zio Ben (che non viene menzionato nemmeno per sbaglio), non assisteremo alla puntura del ragno, né alla sua breve carriera da wrestler: vedremo unicamente il power up ricevuto da Stark in occasione dello scontro con Rogers, che lo ha fatto passare dal raffazzonato pigiamino rossoblu al costume hi-tech che abbiamo già potuto assaggiare all’interno del già citato Captain America 3 e che detiene ancora tanti, appetitosi segreti in serbo per gli spettatori del film.

Come abbiamo già potuto vedere nei vari trailer rilasciati nei mesi che hanno preceduto l’uscita, l’unica raccomandazione del buon Tony al giovane discepolo era quella di agire senza dare troppo nell’occhio e senza gettarsi a capofitto in situazioni più grosse di lui. E così questo Spider-Man passerà i pomeriggi dopo la scuola a girovagare in costume fra le strade del quartiere newyorkese, alla ricerca di piccoli crimini da sventare o di concittadini in pericolo… finendo spesso per combinare casini e disobbedire all’improbabile mentore. Nonostante ‘ste subquest un po’ scialbe, tuttavia, il ragnetto inizia a guadagnarsi una buona fetta di fan, specie tra i più giovani, che diffonderanno i suoi video su YouTube rendendolo in qualche modo una piccola star.

Secondo il mio parere Homecoming inizia un po’ troppo lentamente, ma è capace di catturare l’interesse dello spettatore strappandogli qualche risata grazie a situazioni a cui non eravamo abituati ad assistere nei precedenti film dell’arrampicamuri. E da questi, davvero, riesce a non riciclare assolutamente nulla, proponendo idee e una realizzazione al 100% originali che mai vi daranno un senso di già vissuto, a parte un paio di citazioni – tra cui una piuttosto divertente. Scordatevi quelle vagonate scene viste e riviste di Peter che scopre di avere i poteri e si dà alla pazza gioia fra i grattacieli americani e preparatevi ad abbracciare una visione molto più amatoriale del supereroe di Stan Lee, ancora poco avvezzo alle sue nuove abilità e ai giocattolini di Iron Man. Passeremo la maggior parte del tempo a vederlo districarsi fra la sua vita da studente liceale e la sua occupazione di apprendista Avenger e impararemo a vederlo più come un esaltato fan dei supereroi che cerca di imparare a diventarne uno, piuttosto che l’Uomo Ragno già conscio delle proprie potenzialità che ben conosciamo.

Il cast intero svolge al meglio il proprio ruolo, a partire dal già citato Keaton che si rivela, senza ombra di dubbio, una punta di diamante che mi auguro vivamente di rivedere nei prossimi capitoli. Personalmente, per quante poche battute abbia avuto all’interno del film, ho apprezzato molto il personaggio interpretato da Zendaya, quella divertentissima Michelle che tutti vorremmo avere come amica. Un po’ meno ispirati i ruoli di Ned, una spalla forse un po’ troppo invasiva nella vita di Peter, e di Happy, tuttofare di Stark che funge da intermediario fra quest’ultimo e l’arrampicamuri, a volte forzatamente indifferente nei riguardi del ragazzino. Una menzione d’onore per la giovane Zia May che, specie in una determinata scena, non vi farà certamente rimpiangere le anzianotte controparti che eravamo abituati a vedere al fianco di un Parker leggermente più maturo e protettivo. Non mancheranno comparse di nemici minori e di probabili futuri villain, ma anche di alcuni altri personaggi noti del Marvel Cinematic Universe dei quali cameo non voglio anticiparvi assolutamente nulla.

Trent’anni passati a inseguire il sogno giapponese, fra un episodio di Gundam e un match a Street Fighter II. Adora giocare su console e nelle sale giochi di Ikebukuro che ormai, per quanto lontana, considera una seconda casa.