Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight – Recensione

C'è voluto qualche anno, ma alla fine anche i celebri protagonisti di Persona 3 e Persona 5 si sono uniti alla festa. Preparatevi, si torna sulla pista da ballo!

Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight – Recensione

Persona 5: Dancing in StarlightPersona 3: Dancing in MoonlightLa lunga corsa di Persona 4 si è ormai bloccata in favore del recente quinto capitolo della serie, e messi in panchina il buon Yu Narukami e il resto del team investigativo di Inaba, adesso tocca agli iconici personaggi principali di Persona 5 e del più datato Persona 3 indossare un paio di scarpe comode e mostrarci quello che sanno fare, ma stavolta a colpi di ballo!

Forte del successo di un Persona 5 che è davvero riuscito nel suo intento di rubare la scena mondiale e il cuore dei giocatori, ATLUS continua la sua consueta spremitura del brand andando a espandere la serie Dancing, iniziata nel 2015 proprio con Persona 4: Dancing All Night. I Phantom Thief però non sono da soli, ma bensì vengono affiancati da una versione “gemella” del gioco in cui i protagonisti assoluti sono i membri del S.E.E.S. di Persona 3, capitolo che ormai porta sulle spalle i suoi discreti anni, ma che continua comunque a far parlare di sé, come è accaduto recentemente con i film dedicati. In Occidente si parla molto di questi spin-off, la cui uscita è fissata per il 4 dicembre, ma in Giappone sono a piede libero ormai da qualche mese.

  • Titolo: Persona 3: Dancing in Moonlight / Persona 5: Dancing in Starlight
  • Piattaforma: PlayStation 4, PS Vita
  • Genere: Rhythm Game
  • Giocatori: 1
  • Software house: ATLUS
  • Sviluppatore: P Studio
  • Lingua: Giapponese (testi e doppiaggio)
  • Data di uscita: 24 maggio 2018 (Giappone)
  • Disponibilità: retail, digital delivery
  • DLC: personaggi aggiuntivi, costumi alternativi (anche in collaborazione con Yakuza e Virtua Fighter), brani extra e oggetti per la personalizzazione

Per quanto non ami particolarmente questo genere di spin-off dedicati ai Persona (che considero attualmente la mia saga RPG preferita e una delle poche ancora capace di tenermi piacevolmente incollato allo schermo), e visto e considerato che Persona 4: Dancing All Night ha offerto una trama che voleva puntare a farsi prendere sul serio — andando a snaturare alcune cosette della trama base che era già di suo abbastanza annacquata e dai toni vagamente più tranquilli rispetto ai precedenti (e al successivo) — ammetto che in qualche modo ATLUS è riuscita a farmi tornare UN MINIMO sui miei passi togliendomi alcuni dubbi. Ma le passioni si sa, sono davvero una brutta bestia, e sapevo che non sarei riuscito a rimandare di molto l’acquisto dell’intrigante Collector’s Edition per PS4 di questi due nuovi capitoli che, oltre ai due giochi, offre anche i CD con i vari brani remixati e soprattutto il porting per console casalinga dell’appena citato Dancing All Night, solo in digitale, non venduto separatamente ed esclusivo per questa edizione (la Collector’s PS Vita al suo posto offre dei più semplici costumi DLC). Vediamo se riesco a far entrare tutto in una sola recensione!

Welcome to the Dancefloor

Come detto chiaramente in apertura, ma in caso fosse sfuggito ci tengo a ripeterlo, Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight sono versioni gemelle l’una dell’altra: stesse meccaniche, stessa grafica, ma ovviamente con il rispettivo cast di personaggi e brani remixati provenienti dai capitoli numerati personali. Quello che colpisce di più di ciascun titolo sin dal suo primo avvio è la cura profusa nella realizzazione delle varie interfacce, dove si riesce con successo a ricalcare fedelmente menu e quant’altro visto nel proprio gioco di origine, come dimostra Dancing in Starlight, o a creare un qualcosa di pertinente e adatto al colore primario e allo stile del gioco, dando allo stesso tempo una svecchiata a tutto quello visto in passato, come la versione Dancing in Moonlight.

La mancanza di una vera e propria modalità storia riesce a rendere il tutto spensierato e decisamente più godibile, il vero e proprio passatempo che dovrebbe essere, senza dover eventualmente snaturare il prodotto originale; un qualcosa che può essere tranquillamente interrotto momentaneamente e poi ripreso in seguito senza poi doversi obbligatoriamente ricordare a che punto della trama eravamo rimasti. Per non lasciare il tutto buttato così, come va va, ATLUS ha pensato comunque di inserire un piccolo prologo al primo avvio dei due giochi, giusto per offrire una sorta di infarinatura iniziale che ci accompagnerà per mano al menu generale, composto dalle modalità Dancing!, Tutorial, Commu e Collection. Se per le prime due non c’è bisogno di tante spiegazioni — a dir la verità neanche per Collection, dal momento che si tratta solo della modalità in cui ammirare i personaggi disponibili, i vari oggetti e costumi che via via avremo sbloccato — la modalità Commu è quella che continua in qualche modo un minimo di narrazione vaga dell’insieme. Non ci saranno colpi di scena o eventi da cardiopalma, solo dei dialoghi tra i personaggi fini a loro stessi che, una volta portati a termine, ci daranno accesso a uno dei tantissimi contenuti sbloccabili per personalizzare i personaggi e l’esperienza di gioco stessa.

Sotto la luna o sotto le stelle…

Personalmente, ho trovato davvero giusto il bilanciamento personaggi/brani, quantomeno rispetto al capitolo dedicato a Persona 4. Là dove un tempo le canzoni, che anche stavolta sono legate a ciascun singolo protagonista e senza la possibilità di cambiarli a proprio piacimento, vedevano in azione i più “celebri” legati a più brani, mentre al contrario quelli un po’ sottotono ne avevano solo uno, stavolta il P Studio è riuscito a trovare una via di mezzo dando a tutti il proprio spazio in modo equo, con sessioni in cui ballerà ciascuno dei protagonisti, altre in cui ammireremo dei semplici video e alcuni più elettrizzanti in cui a far da padrone saranno proprio i personaggi “in gruppo”. Stavolta ammetto di esser rimasto piacevolmente sorpreso, sarà che (come detto in apertura) non stravedo molto per questi spin-off in salsa rhythm game e mi aspetto sempre il peggio, ma sono riuscito a percepire la cura, nonché tutti i cambiamenti e le migliorie che la compagnia ha apportato rispetto al titolo precedente.

La questione personaggi legati a ciascuna canzone, a differenza dei partner che è possibile scegliere solo tra un paio (anche qui, senza tantissima libertà), resta la parte più tediosa da affrontare e talvolta da mandare giù. Per quanto ATLUS abbia provato a non creare un prodotto come può essere Project DIVA, dove c’è libertà di selezionare qualsiasi VOCALOID in qualsiasi canzone si voglia, usando sempre i soliti movimenti predisposti per ciascun brano indipendentemente dal personaggio, Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight offrono qualcosa di più restrittivo, come già accadeva in Persona 4: Dancing All Night, ma dove ciascuno dei protagonisti può contare su dei movimenti e uno stile di ballo personali, diversi dagli altri, che allo stesso tempo si sposa alla perfezione con il brano in cui è chiamato a danzare come unica e sola stella sul palco.

Il problema grosso arriva proprio sul fattore rigiocabilità: offrendo brano x legato a personaggio x, una volta terminati tutti i brani di una difficoltà, se ci si vuol spostare in una delle altre giusto per rendere le cose ancora più ardue, mettersi alla prova e continuare a sbloccare i tantissimi contenuti offerti, vedremo nuovamente sullo schermo quel preciso brano sempre e solo con quel personaggio come principale, senza possibilità di cambiare. Questo alla lunga non aiuta molto i due titoli; inoltre, per quanto i fan dei rhythm game possono iniziare questa esperienza rimanendo piacevolmente sorpresi dal picco di difficoltà già presente dal principio, gli utenti al primo approccio potrebbero davvero scoraggiarsi per quanto il tutto possa risultare ostico. Per quanto la difficoltà sia un pelino bilanciata male, si riesce comunque a prenderci più la mano in seguito, ovvero una volta padroneggiato il pattern circolare dei vari comandi che compaiono sullo schermo. Essendo comunque una difficoltà Normal magari si poteva fare qualcosa di leggermente più umano. Ottimo però il fatto che, più aumentiamo la difficoltà dei brani, più i comandi che arrivano su schermo e il loro pattern inizia a essere meno scontato (seppur più disumano).

L’importante è ballare tutta la notte!

La Collector’s che ho acquistato presentava anche un codice per scaricare il porting PS4 di Persona 4: Dancing All Night, quindi perché non spendere anche due righe su quello?

Per quanto sia davvero bello poter avere tutta la serie dei Dancing su una sola piattaforma, questo fa percepire abbastanza la sua essenza di porting PS Vita, con sgranature varie di fondali ed elementi sul grande schermo che, fortunatamente, non affliggono anche i modelli dei personaggi. Giocarlo oggi mi fa notare anche come allora il team abbia scelto di realizzare un’interfaccia e menu vari che richiamano più il mondo del ballo che il Persona di cui funge da spin-off, sebbene qualche piccolissimo elemento del gioco originale riesca a mantenerlo. I modelli dei personaggi, per quanto non siano creati con la stessa grafica di Persona 5, riescono comunque a non far sentire troppo il distacco con altri due titoli presi in esame per questa recensione.

Credo fermamente che si tratti di un prodotto da giocare al principio o dopo diverso tempo dagli altri, perché lasciarselo per ultimo e gettarcisi a capofitto subito ci farà irrimediabilmente far caso alle imperfezioni varie o meccaniche poco sviluppate rispetto ai due più recenti, tra cui troviamo anche la mancanza di un comando (la pressione doppia) e un pessimo bilanciamento di brani per personaggio. Ciò però non vuol dire che non possa essere goduto al massimo, anzi, il contrario! In quanto porting offerto come bonus, si può quindi tendere a chiudere più di un occhio per i vari dettagli davvero da dimenticare… del gioco stesso, non del porting. Ovviamente, parlando di porting e non di un remake, continua a portarsi dietro tutti i difetti che affliggevano l’edizione originale.

Best Remix

Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight prendono in prestito tantissime cose dal quinto capitolo della serie, quantomeno a livello grafico. Se da un lato si può pensare che la compagnia abbia fatto davvero uno sforzo minimo nella creazione dei Phantom Thief, dal momento che i modelli sono gli stessi e quindi erano già pronti, dal fronte Persona 3 è invece stato ricreato tutto praticamente da zero. Insomma, si son risparmiati del tempo da una parte ma ne han speso fin troppo dall’altra. Come detto in precedenza, ho adorato il fatto che, sebbene in sostanza siano gli stessi giochi, visivamente sono diversi: Persona 3, il cui colore dominante è il blu, è vagamente più colorato e allegro all’occhio rispetto a Persona 5, il cui rosso e nero già visti nel titolo base fanno da padrone creando un qualcosa di vagamente più cupo, ma altrettanto ottimo. Ho particolarmente adorato i due titoli su PS4, versione su cui si basa proprio questa recensione giusto per mettere alla prova su strada la serie al suo debutto sulla console “grande” di casa Sony.

Ma per un rhythm game è ovviamente il lato sonoro a dover colpire maggiormente. Anche in questo caso, entrambi i titoli sono meritevoli di lode. Sono tanti i brani che riescono a coinvolgere il giocatore dall’inizio alla fine, lasciando giusto un paio di remix capaci di far storcere il naso, ma in definitiva quelli riusciti sono la maggioranza e quindi va benissimo così. Magari, dato il problema della rigiocabilità accennato in precedenza, avrei decisamente preferito due prodotti più corposi come tracklist, sebbene ci sia già qualcosetta scaricabile dallo store in forma totalmente gratuita, che però vedono come protagonisti solo dei video sullo sfondo e nessuno dei personaggi a ballare. Per quelli, ahimé, sarà necessario acquistare gli appositi pacchetti di personaggi + brani.

A chi consigliamo Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight?

Inutile tirare in ballo tutti i fan di Persona, perché mi immagino che presto o tardi faranno entrare anche questi due giochi nella propria collezione. Sicuramente so già che il 90% di chi ci si avvicinerà lo farà per la versione Persona 5, visto e considerato l’enorme successo capace di attirare anche gente che non aveva mai sentito parlare della serie. Se quando arriverete a provarlo riuscirà a conquistarvi, vi consiglio di dare almeno una possibilità anche alla versione Persona 3, che in quanto a musiche non è assolutamente secondo a nessuno degli altri titoli della serie. Magari chissà, potrebbe farvi anche interessare al gioco originale (anche se ci credo poco, per quanto ormai sia datato e superato come meccaniche i nuovi fan potrebbero non trovarlo interessante perché non attuale).

  • Ottimi remix capaci di coinvolgere anche il giocatore meno portato per il genere
  • Buonissimo esordio della serie su PS4
  • Tanti elementi sbloccabili per espandere l’esperienza di gioco

  • I personaggi ancora legati ai brani continuano a minare il prodotto
  • Difficoltà Normal bilanciata un po’ a caso
  • Tracklist poco corpose
P3: Dancing in Moonlight / P5: Dancing in Starlight
3.6

Un ballo che si concede anche volentieri

Per quanto il voto totale che ho deciso di dare ai due giochi non vada molto lontano da quello che ho personalmente dato a Persona 4: Dancing All Night ai suoi tempi, ho decisamente trovato Persona 3: Dancing in Moonlight e Persona 5: Dancing in Starlight davvero più coinvolgenti e divertenti rispetto al loro predecessore. Purtroppo però la serie continua a portarsi dietro alcuni difettucci che, alla lunga, minano la giocabilità di un prodotto già non longevissimo di per sé per via della tracklist. Per quanto la presenza della trama in Dancing All Night mi abbia fatto in parte odiare anche solo l’idea di spin-off di questa natura, ammetto che stavolta ATLUS è riuscita con successo a portarmi verso il lato oscuro grazie a una semplicità capace di offrire tutto ciò di cui un rhythm game ha bisogno per divertire, senza però esser preso sul serio per via di una storia forzata, non necessaria e davvero da dimenticare. Un passatempo che non vuole farsi prendere sul serio, offrendo modalità e meccaniche dirette per non far annoiare fin troppo il giocatore e farlo immergere immediatamente nell’azione vera e propria. Certo, per il prodotto che si ha in mano, per quanto possa essere divertente, forse il prezzo pieno standard di un classico titolo PS4 è decisamente troppo — specie se poi si considera che è da raddoppiare se si decide di prendere entrambe le versioni — ma sarebbero davvero ottimi se recuperati tutti e due al prezzo di uno. Per il resto, vedremo mai scatenarsi sulla pista da ballo anche il cast del primo Persona e di Persona 2? Diciamo che se tutto resta così, la cosa potrebbe anche vagamente non dispiacermi.

Prestigiatore, ballerino di break dance, produttore cinematografico, traduttore ufficiale di frasi imbarazzanti per prodotti R18, fondatore di Akiba Gamers: un curriculum da fare invidia a Johnny Sins, ma che non regge il confronto con la sua smodata passione per i giochi d’importazione e per i tegolini.

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