METAL GEAR SOLID V: The Phantom Pain – Recensione

METAL GEAR SOLID V: The Phantom Pain – Recensione

metal-gear-solid-v-the-phantom-pain-recensione-boxart1975. Il leggendario Big Boss si infiltra nel carcere di massima sicurezza noto come Camp Omega, a Cuba. Il suo scopo è quello di recuperare Paz, a conoscenza di importanti informazioni riguardo l’organizzazione Militaires Sans Frontières e tenuta prigioniera da Cipher, nonché Chico, il giovane soldato partito nel tentativo di salvarla. Entrambi i ragazzi sono stati brutalmente torturati e interrogati da Skull Face, misterioso leader di XOF. Tuttavia, la missione di salvataggio di Snake e Miller porta alla distruzione della Mother Base nel mare dei Caraibi e alla morte di molti dei loro soldati, causata dalla violenta esplosione di due bombe innestate nel corpo della povera fanciulla, sacrificatasi nel tentativo di salvarli.

Ci ritroviamo oggi in un ospedale di Cipro, dove Big Boss riprende conoscenza dopo nove anni di coma, nel corso dei quali  è stato tenuto sotto stretta sorveglianza da un singolare individuo il cui volto è celato dalle bende. Snake rimane sconvolto dalle condizioni del suo corpo, ormai mutilato, ma è costretto a fuggire dall’ospedale con l’aiuto del suo misterioso guardiano a causa dell’improvvisa incursione degli agenti di Cipher e di alcuni misteriosi individui dotati di capacità sovrannaturali.

V HAS COME TO.

Per quelli cresciuti nella mia generazione, il primo METAL GEAR SOLID ha un significato davvero molto particolare. Nell’ormai distante 1999, dodici anni dopo l’uscita del Metal Gear originale, ci siamo ritrovati di fronte a un prodotto che spiccava fra tanti, destinato a cambiare per sempre il nostro modo di vedere i videogiochi. Un’esperienza che rimarrà per sempre scolpita nella mia mente, senza ombra di dubbio uno dei migliori titoli a cui abbia mai giocato per via di una trama narrata in maniera eccelsa, personaggi carismatici, dialoghi memorabili e un taglio cinematografico che solo Hideo Kojima è capace di rendere al meglio in questo ambito.

Attendere ogni nuovo capitolo della serie diventò presto, per me, uno degli eventi che caratterizzava ciascuna generazione di console. Tuttavia, l’attesa per questo quinto capitolo è stata accompagnata da una serie di controversie che, in qualche modo, hanno destabilizzato un po’ le mie aspettative. Prima fra tutte, la scelta di rilasciare un episodio introduttivo, Ground Zeroes. Forse l’intento di Kojima e del suo team era quello di mitigare in parte l’attesa per il gioco completo e di testare le nuove meccaniche open world su un pubblico che fino a quel momento era abituato a qualcosa di piuttosto diverso; nel frattempo, tuttavia, è sorto un ulteriore problema: il misterioso scioglimento del team Kojima Productions nonché l’imminente divorzio fra il leggendario game designer e l’azienda che detiene i diritti del franchise.

  • Titolo: METAL GEAR SOLID V: The Phantom Pain
  • Piattaforma: PlayStation 4, PlayStation 3, Xbox One, Xbox 360, STEAM
  • Genere: Action, Stealth
  • Giocatori: 1 (include modalità online multigiocatore)
  • Software house: KONAMI
  • Sviluppatore: Kojima Productions
  • Lingua: Italiano (testi), Inglese (doppiaggio)
  • Data di uscita: 1 settembre 2015
  • Disponibilità: retail, digital delivery
  • DLC: armi, uniformi, accessori e scatole aggiuntive
  • Note: Collector’s Edition con riproduzione in scala 1/2 del braccio di Big Boss
"Conosci il film ‘Spider-Man’ di Sam Raimi, Boss?"

“Conosci il film ‘Spider-Man’ di Sam Raimi, Boss?”

Alla luce di ciò, The Phantom Pain sarebbe stato, a tutti gli effetti, l’ultimo METAL GEAR. Per meglio dire, l’ultimo curato nei minimi particolari da chi ha saputo stregare con una cutscene, una boss battle, un finale dopo l’altro, milioni di fan in tutto il mondo. Sono questi i presupposti con cui mi appresto ad affrontare METAL GEAR SOLID V: The Phantom Pain. La terribile sensazione che, con ogni probabilità, sarà l’ultima volta che Kojima e Snake lavoraranno insieme.

Not until the pain is gone

Diversamente dagli altri METAL GEAR SOLID affrontati negli anni passati, ma fatta eccezione per titoli come Portable Ops, Peace Walker e Ground Zeroes stesso, The Phantom Pain cambia un po’ le carte in tavola, non mettendoci più di fronte a un corridoio fatto di cutscene e aree da ripulire fino alla fine del gioco, ma dandoci la massima libertà di affrontare le missioni primarie e secondarie, nonché di scegliere quanto tempo dedicare alla raccolta di materiali e allo sviluppo della nostra Mother Base. Gli incarichi che decideremo di accettare assieme a Big Boss ci vedranno impegnati nel salvare ostaggi, eliminare leader nemici, recuperare oggetti particolari, soldati delle fazioni avversarie o animali; ciascuna missione, introdotta da un briefing (il cui ascolto è del tutto opzionale), ci garantirà nuovi fondi, reclute e materiali, che impiegheremo nello sviluppo del nostro esercito personale, i Diamond Dogs. Una volta scelto il punto di atterraggio del nostro chopper ci ritroveremo in una splendida schermata (la cui colonna sonora riuscirà seriamente a motivarci in ogni situazione) in cui potremo selezionare equipaggiamento, veicolo, spalla (avete presente Quiet e D.D.?) e persino il nostro stesso avatar. Inizialmente, mi pare ovvio, avremo a disposizione unicamente il caro vecchio Snake ma, dopo che avremo sviluppato a sufficienza il nostro esercito, potremo scegliere le nostre reclute e utilizzarle in prima persona.

Durante le missioni il supporto dell’iDroid sarà fondamentale, sia se decideremo di giocare normalmente, sia se gli abbineremo l’apposita companion app sul nostro smartphone. Tramite il nostro avveniristico dispositivo potremo visualizzare la mappa e segnarla con indicatori di destinazione, individuare i nostri obiettivi e persino ordinare rifornimenti alla nostra cara mammabase, che li recapiterà in tempi brevi (meglio di Amazon) nel punto designato. Vi ricordate quanto era bello cogliere i nemici di sorpresa grazie all’aiuto del meraviglioso Radar Soliton messo a punto dall’indispensabile Mei Ling? Come forse saprete dopo aver giocato al lunghissimo Ground Zeroes, negli anni ’70-80 il massimo della tecnologia era data da un binocolo a lungo raggio, tramite il quale è possibile inquadrare i nemici a distanza e marcarli, in modo da tenerli costantemente sotto controllo nel nostro campo visivo e sulla mappa; durante l’utilizzo dello scope, potremo contare sul supporto via radio di Ocelot, ad esempio, che ci fornirà dei soliti consigli utili al proseguimento della missione come un tempo avrebbe fatto il caratteristico codec, oppure del supporto dei nostri compagni di Diamond Dogs, che ci segnaleranno l’avvicinarsi di pericoli imminenti o la presenza di oggetti utili alla nostra causa.

Forse potrebbe sembrarvi un aspetto marginale del gioco, ma il dover riuscire a marcare quanti più nemici possibile prima di lanciarsi a capofitto nella fase di infiltrazione si rivelerà fondamentale e piuttosto divertente. Guai a voi se tralascerete qualche soldato nascosto dietro una parete ― e credetemi, capiterà molto spesso, specie nelle fasi iniziali. Fortunatamente non saremo costretti a farlo per tutta la durata del gioco, dato che il supporto di alleati come il fedele D-Dog e il cecchino Quiet si riveleranno fondamentali in questo ambito: il lupo, per esempio, fiuterà la posizione dei nemici vicini e ci permetterà di tenerli occupati per un breve lasso di tempo, gli stessi soldati nemici che, se siete come il sottoscritto, eviterete accuratamente di spedire a miglior vita per reclutarli tramite il sistema Fulton. Tra gli aspetti da tenere in considerazione troviamo anche il fattore temporale e le condizioni atmosferiche: se nei trailer Kojima ci ha più volte mostrato l’utilità del sigaro capace di farci saltare in avanti nel tempo, ero poco preparato a tempeste di sabbia che invalidassero quasi del tutto udito e vista di Snake e nemici. Agire col favore delle tenebre, oppure approfittare delle tempeste di sabbia per fare una corsetta in direzione del nemico? Per portare a termine ciascun incarico senza farci scoprire arriveremo a limare le nostre strategie alla perfezione, tentativo dopo tentativo.

Notice me, Boss-senpai.

Notice me, Boss-senpai.

GET TO THE CHOPPA!

Il quartier generale dei Diamond Dogs è uno dei punti focali del titolo che mi ritrovo fra le mani. La nostra Mother Base sarà importante a livello di trama, ovviamente, ma ancor di più influenza lo stile di gameplay che adotteremo già dopo le prime ore di gioco. Come già accennato poc’anzi, grazie al succitato sistema Fulton, il già leggendario pallone aerostatico tramite cui inviare oggetti ed esseri viventi alla base, saremo chiamati ad allargare le nostre fila catturando letteralmente i soldati nemici che saremo riusciti a stordire con il CQC o addormentare con i dardi soporiferi. Ciascuno dei guerriglieri in questione sarà dotato di un certo livello di abilità in ambiti che spaziano dal supporto tattico all’infermeria e, dopo le prime missioni, saremo in grado di valutare se schierarli o meno dalla nostra parte semplicemente analizzandoli con il binocolo, per poi decidere dove sarebbe meglio impiegarli all’interno della base. Non fate come il sottoscritto che, sentendosi a proprio agio nei panni del tipico allenatore di Pokémon, ha reclutato qualsiasi cosa si muovesse nelle sconfinate distese afghane, tra soldati sovietici, capre, orsi e quant’altro, finendo per mandare in rosso il conto in banca di Miller. Oltre che a riempire lo spazio a nostra disposizione (espandibile in seguito con la costruzione di nuove aree) infatti, ciascun salvataggio verrà a costarci una certa somma di denaro in-game, che potremo recuperare dedicandoci alla ricerca di diamanti grezzi e, ovviamente, portando a termine gli innumerevoli incarichi o affidando missioni esterne alle reclute. C’è da dire, inoltre, che il recupero via Fulton non è estremamente sicuro; a volte ci capiterà di veder fallire la nostra cattura a causa di condizioni atmosferiche avverse o, semplicemente, perché il povero malcapitato si ritroverà sotto un ostacolo che impedirà il sollevamento del pallone. Dovremo inoltre prestare attenzione alle guardie che, se troppo vicine, verranno richiamate dall’urlo di terrore del compagno fatto prigioniero o dall’insolito oggetto volante che vedranno schizzare in direzione del cielo (anche se dovremo farlo davvero molto vicino a loro affinché se ne accorgano).

Come avrete sicuramente intuito, il livello di personalizzazione di METAL GEAR SOLID V è estremo: la Mother Base stessa potrà essere modificata nell’aspetto e nelle funzioni, e allo stesso modo anche Snake potrà indossare una divisa differente a seconda della missione affrontata. Ma ciò non si limita a un fattore puramente estetico: il nostro modo di affrontare le missioni, il decidere o meno se togliere la vita alle nostre vittime o se addormentarle e schierarle dalla nostra parte, inciderà notevolmente sulla progressione all’interno del gioco. Il livello di eroismo potrà innalzarsi o calare a seconda delle azioni intraprese (salvataggi, uccisioni, numero di volte in cui verremo scoperti dal nemico, costruzione di determinate armi) e influirà sulla fama di Big Boss e sì, nuovamente, anche sul suo aspetto. In maniera sostanzialmente simile a inFamous o Fable ci ritroveremo a dover decidere se diventare l’eroe oppure se farci temere da nemici (e non solo) per via della nostra estrema crudeltà.

A HIDEO KOJIMA GAME

Sia dal punto di vista del gameplay che da quello della narrazione ci ritroviamo di fronte a un gigantesco salto nella direzione opposta dei precedenti giochi della serie, in particolar modo di Guns of the Patriots, il quarto capitolo accusato da molti di contenere fin troppe cutscene e una misera manciata di sezioni in cui agire liberamente. La natura open world di METAL GEAR SOLID V influisce pesantemente anche sulla narrazione: potremo decidere noi quali missioni affrontare, in quale ordine, con quali ritmi di gioco e quante volte ripeterle per accumulare risorse e costruire armi ed equipaggiamenti sempre più efficienti. Potremo decidere noi, inoltre, quanto tempo rimanere sul campo anche dopo la fine della missione, dedicandoci agli obiettivi secondari o semplicemente all’esplorazione; mancando per troppo tempo dalla base, per esempio, potremo iniziare ad aver bisogno di una doccia, oppure di ristabilire l’ordine fra le reclute che, in mancanza del Boss, si ritroveranno con il morale sotto le scarpe e il bisogno di una bella lezione. Scordatevi delle interminabili cutscene a cui eravamo in qualche modo costretti ad assistere in passato (non che fossero spiacevoli, sia chiaro): la trama verrà narrata tramite filmati in stile cinematografico, ma anche e soprattutto tramite le audiocassette che verranno sbloccate con l’avanzare del gioco, che potremo ascoltare sia durante lo svolgimento delle missioni sia in maniera più tranquilla, a bordo del nostro sempre più minaccioso elicottero. Alcuni potrebbero trovare questa scelta un po’ azzardata, visto il glorioso passato della saga ma, come Kojima stesso ha suggerito, basta solo riuscire a razionalizzare il tempo in modo da dedicarsi in maniera equa alla progressione nelle missioni principale e in quelle secondarie, alla gestione della Mother Base e all’ascolto delle innumerevoli cassette, tramite le quali ci verranno svelati i retroscena dell’ambientazione storica.

"Non mi starai portando dal veterinario, vero?"

“Non mi starai portando dal veterinario, vero?”

You Spin Me Round (Like a Record)

Dopo averlo provato nella sua edizione PlayStation 4, posso affermare con certezza che The Phantom Pain è un prodotto dall’indubbia qualità, sebbene abbia la sensazione che sia stato in qualche modo castrato dalla sua natura cross-gen. L’incredibile livello di dettaglio delle inquadrature di Boss sull’elicottero, le fluidissime e verosimili movenze dei personaggi e un buon sistema di illuminazione che caratterizza lo scorrere del tempo cozzano irrimediabilmente con paesaggi a volte troppo spigolosi, oggetti che compaiono repentinamente all’orizzonte e alcuni difetti strutturali a causa dei quali ci capiterà, per esempio, di attraversare dune e rocce con il nostro cavallo. Tuttavia, si tratta di difetti marginali, che non intaccano poi molto l’ottima esperienza di gioco, ulteriormente arricchita da una colonna sonora di altissimo livello e dai familiari effetti sonori che ci accompagnano sin dai primi capitoli della saga. The Man Who Sold the World di David Bowie, tappeto musicale dei titoli di testa, è solo uno dei brani della ricca playlist accuratamente stilata da Hideo Kojima, i cui pezzi saranno sbloccabili tramite ulteriori cassette che dovremo raccattare in giro per gli avamposti nemici, tenendo l’orecchio ben teso in direzione della musica.

A chi consigliamo METAL GEAR SOLID V: The Phantom Pain?

Nel momento stesso in cui sto completando questa recensione, il 99% dei fan della saga si ritrovano già con il controller in mano e almeno di una cinquantina di ore di gioco alle spalle. Gli altri, probabilmente, non hanno ancora avuto modo di compiere il salto generazionale, e aspettano solo di riuscire a procurarsi una PS4 o una Xbox One per potersi godere al meglio l’ultima fatica di Kojima. Congetture a parte, The Phantom Pain riuscirà a rendere felici tutti coloro che si aspettavano un gioco che, appunto, fosse giocabile per più di cinque o sei ore effettive e che non contenesse una fin troppo massiccia presenza di filmati, ma che scontenterà chi si aspettava il solito METAL GEAR da godersi tutto d’un fiato. Chiaramente, se siete alle prime armi con questa saga, vi consiglio di recuperare almeno i principali capitoli che vedono protagonista Big Boss a cui questo titolo funge da sequel, ovvero Snake Eater e Peace Walker (e, ovviamente Ground Zeroes, il prologo del titolo in esame). Ma perché fermarsi a questi piuttosto che godere di un quadro completo dell’opera scritta da Hideo Kojima?

"...Ma gliene ho date tante anche io, eh. Se non mi avessi bloccato gliel'avrei fatta vedere io."

“…Ma gliene ho date tante anche io, eh. Se non mi avessi bloccato gliel’avrei fatta vedere io.”

  • Un inizio estremamente coinvolgente
  • Difficile quanto basta
  • Colonna sonora di prim’ordine
  • La narrazione così diluita favorisce la longevità…

  • …Ma spezza la continuità della sceneggiatura
  • Forse un po’ troppe audiocassette da ascoltare
  • Boss Fight meno memorabili che in passato
  • Alla lunga le missioni potrebbero stancare
  • Il font utilizzato per i sottotitoli continua a essere una pessima scelta
METAL GEAR SOLID V: The Phantom Pain
4.6

Più gioco e meno film, con tutto ciò che ne comporta

Vorrei davvero evitare di rovinarvi il profilo migliore di un METAL GEAR attraverso poche semplici parole. Se vi parlassi della trama, di ciò che succede, delle tematiche trattate, porterei chiunque a interrompere la lettura, posso comprenderlo perfettamente. Per giudicare The Phantom Pain, tuttavia, non posso ignorare le voci insinuatesi nella mia testa sin dallo sconvolgente e meraviglioso prologo, intriso di violenza, adrenalina, eccitazione e magistralmente diretto come il più anticipato kolossal cinematografico. Queste voci, incoraggiate poi da sporadici indizi disseminati dal game designer, mi hanno ficcato in testa un tarlo che mi ha fatto arrovellare per giorni, ma non so ancora dirvi se si tratta di qualcosa di positivo o meno, né voglio dirvi di cosa si tratta. Il sempreverde Hideo mi ha messo in testa un dubbio che poteva rivelarsi determinante nel giudicare la trama di questa sua opera più recente, a metà tra capolavoro e presunta prevedibilità. Ma per giudicare al meglio MGSV è necessario dire che, stavolta, le sue attenzioni sono state maggiormente riposte nella costruzione di un gameplay solido, con un buon livello di sfida, un’elevata longevità e un alto livello di personalizzazione. Se, in passato, giocavamo più e più volte ai precedenti METAL GEAR SOLID per comprenderne al meglio la trama, per scovare ogni extra ed easter egg, per completarlo nel modo più rapido e pulito possibile, The Phantom Pain ci metterà di fronte a qualcosa di totalmente opposto: le numerose missioni potranno essere affrontate ogni volta in maniera diversa, potranno essere ripetute in qualunque momento (persino quella del prologo, in ospedale) e ci consentiranno di variarne la difficoltà scegliendo un diverso compagno o equipaggiamento; tuttavia, per essere portato a termine, il gioco ci chiederà di padroneggiare con maestria le abilità di Snake, un elemento che potrebbe in qualche modo dissuadere dal completamento coloro che non si reputano hardcore gamer. La componente online (data da MGO, attualmente ancora non disponibile) e dall’attacco alla Mother Base da parte di altri giocatori, spingerà ulteriormente i fan più stoici a passare centinaia di ore su un titolo d’azione che, in termini di contenuti, può rivaleggiare alla pari anche con il più ricco dei giochi di ruolo giapponesi.

Trent’anni passati a inseguire il sogno giapponese, fra un episodio di Gundam e un match a Street Fighter II. Adora giocare su console e nelle sale giochi di Ikebukuro che ormai, per quanto lontana, considera una seconda casa.