Celolunghismo anni ’90: le console portatili

console portatili

Se fate parte della classe dei giocatori anni novanta, sicuramente solo a sentire la parola Tiger vi si scateneranno nella mente i peggiori flashback del Vietnam: non fate i finti tonti, sapete bene di cosa sto parlando. Anni or sono infatti, i gamer gaggi dell’epoca erano soliti andare in giro con i primi abbozzi di console portatile appunto prodotti da Tiger Electronics, oggetti in grado di farci sentire fighi come mai prima di allora nello spiattellarlo in faccia ai nostri amici. Ciascuno di questi dispositivi aveva affibbiato un solo gioco, quindi era facile averne uno diverso dalla maggior parte dei compagni, quindi tirarsela perché “il mio è più meglio del tuo”.

Alcuni dei titoli che la compagnia offriva ai suoi acquirenti erano giochi che hanno davvero fatto la storia: c’era Sonic, Mega Man, Virtua Fighter, Double Dragon, Altered Beast, Ninja Gaiden, Street FighterNinja Fighter (non vi sto prendendo per il culo unendo i due nomi, esisteva veramente!) e molti altri ancora. Ma piano piano, con il passare degli anni, questi aggeggini andarono via via scomparendo, e la compagnia lasciò il passo ai big dell’epoca, andando anch’essa pian piano a sparire dal mercato. O forse questo era quello che voleva farci credere!

Console portatili - Gig Tiger

Non posso nasconderlo, non sono un grande amante delle politiche Nintendo, tanto dal non volerla a volte supportare con le sue produzioni più recenti; probabilmente questo mio pseudo-astio verso la compagnia di Kyoto arriva proprio dai miei genitori. Ero piccolo, era Natale e i miei amici giocavano con il Nintendo… e dà lì si sa come funziona quando sei ragazzino.

“Mamma, Papà.. voglio il Super Nintendo!”
“No.”

“E se lo chiedo a Babbo Natale?”
“NO! Niente videogiochi. Quando sarai più grande ne riparliamo!”

Ed ecco che, per coerenza, quello stesso natale mi fu fatto dono del SEGA Mega Drive, la mia prima vera console. Ok, non era proprio quello che avevo chiesto, ma ha saputo conquistarmi fin da subito e con lei passavo tanti bei momenti, almeno quando non trascorrevo le serate a vedere mio padre giocare a ROBOCOP vs TERMINATOR aspettando il mio turno. Turno che, puntualmente, non arrivava mai. Adoravo quella console perché mi faceva sentire diverso dai restanti compagni di classe snob, che parlavano tra di loro confrontandosi sui giochi che io non avevo; poco me ne fregava perché, di lì a poco, al suono della campanella, in cuor mio sapevo che una volta tornato a casa avrei potuto cimentarmi nella mia attività preferita: chiudermi in camera, e giù di SEGA!

La mia vita è andata avanti così, il tempo è passato, fino a quando un bel giorno il classico privilegiato arrivava in classe con qualcosa di nuovo, qualcosa su cui tu, misero plebeo del cazzo, non avresti potuto mettere le mani fino al prossimo avvento di Cristo: il Game Boy. Mentre alcuni ancora si dilettavano con gli ultimi rimasugli targati Tiger nascosti dentro l’aula di musica durante la ricreazione pomeridiana perché, se le maestre ti trovavano potevi salutare il tuo aggeggio fino a data da destinarsi, il Briatore di turno se la tirava con il suo Game Boy nuovo di pacca… e da quel momento iniziai a meditare la mia vendetta. Inutile ripetere che in questi casi, da bambini, la vita è un ciclo, e le fasi si ripetono inesorabilmente.

“Mamma, Papà.. voglio il Game Boy!”
“Ma neanche per il cazzo!”
….
“E se lo chiedo a Babbo Natale?”
“Babbo Natale non esiste… DEAL WITH IT.”

Oltre ad essere morta una parte di me, quel giorno morì anche il mio desiderio di avere un Game Boy, sapendo che di lì a poco anche tutti i piccoli proprietari terrieri se lo sarebbero comprato e si sarebbero uniti al viziato di turno. E la storia andò proprio così. Da quell’infausto giorno passarono anni, la gente crebbe, furono prodotti nuovi modelli di Game Boy, e io ero ancora lì, a meditare la vendetta, a escogitare un piano che avrebbe potuto farmi passare da plebeo a Re indiscusso del gruppo. E quel giorno finalmente arrivò. Si fece attendere… ma arrivò.

Una pubblicità della Tiger! Cazzo, da quanto non sentivo questo nome… aspetta… e quelli cosa sono? Dal momento che Nintendo e il suo Virtual Boy non avevano fatto abbastanza danni, Tiger tornava sul mercato videoludico proponendoci la bellezza di TRE NUOVE CAZZUTISSIME CONSOLE: le R-Zone! La prima di queste era particolare e intrigante, dal momento che te la potevi ficcare comodamente in testa con una per niente fastidiosissima fascia elastica che ti comprimeva anche l’anima e goderti uno schermettino formato francobollo piazzato davanti agli occhi; l’altra, sempre portatile, ma con le stesse dimensioni francobollo dello schermo (seriamente… ma che problemi avevano?) e poi c’era lei, il mio più grande amore: l’R-Zone Super Screen. Tipo che quando l’ho vista mi sono girato verso i miei genitori, senza emettere un suono, né un fiato, indicando solo lo schermo con la tipica espressione da: “O me lo comprate, o vi piscio nella scarpiera”. Che poi da piccolo ho veramente pisciato nella scarpiera per dispetto, ma non fu per questo motivo. Per continuare a consolidare la mia tesi del complottismo anti-Nintendo dei miei genitori, il giorno dopo, senza nemmeno degnarmi di una parola, me lo comprarono. E la mia vita cambiò radicalmente.

Console portatili - R-Zone Super Screen (foto di videogameauctions.com)

Anche se ormai con il Mega Drive giocavo poco, le occhiaie da SEGA erano rimaste, anzi, erano peggiorate, dato che il “big screen” della console, dopo svariate sessioni di gioco ininterrotte, mi stava pian piano trasformando in Ciclope degli X-Men. Ma dopo qualche giorno, che servì giusto per prendere familiarità con il nuovo arrivato e non farlo tocchicchiare da tutto e tutti immediatamente, decisi che era l’ora del suo esordio nel mondo al di fuori da casa mia. Anche perché non te ne potevi stare zitto, dovevi dire a tutti che avevo qualcosa di decisamente grosso tra le mani, e le parole hanno durata breve. Tra bambini infatti, tutt’oggi continua, vige la regola del “chi ce l’ha più lungo”, che obbliga la gente a farti sentire un’ameba semplicemente millantando ogni diavoleria custodita a casa propria, ma che ovviamente non potrai mai vedere perché sei un plebeo di merda e quindi sai una sega, o che più semplicemente la possiede quella mistica figura ancestrale del “cugino” che un po’ tutti nella vita abbiamo avuto. Dai, per intendersi, quello talmente figo e avanti che già nel 2000 aveva la PlayStation 8. Una presenza talmente fastidiosa che, a distanza di sedici anni, riesce a farti sentire ancora una merda perché la generazione attuale gli è ancora indietro di quattro console.

E allora partivano le totoscommesse con i bambini che, per tirarsela ulteriormente, continuavano a portare a scuola il proprio ritrovato tecnologico per sbatterlo in faccia a tutti e fargli pregustare il dolce sapore del fallimento. Se però un Game Boy era relativamente facile da portare nascosto nello zaino, i possessori dell’R-Zone Super Screen hanno passato una strada molto più impervia, dal momento che portarsi nascosto nello zaino un mostro del genere era un’impresa biblica. Oh, non c’entrava. Anzi, a dirla tutta facevi prima a nascondere lo zaino dentro al vano delle batterie, perché andava a pile da torcia di tipo D… roba che tutti i tuoi amici uscivano con le stilo in tasca come ricambio in caso gli si scaricasse il Nintendo, e a te toccava rubare la bici di tua madre, quella con il cestino davanti, per mettere dentro console, batterie e cassetta degli arnesi… dal momento che per cambiarle dovevi comodamente svitare giusto un quattro-cinque viti.

Arrivò così il giorno del grande debutto. Tutti i compagni che si fermano e si staccano dalla propria console per guardarti nel momento di gloria: quasi come se stessi per estrarre Excalibur, mi accingevo a tirare fuori la bestia… e la mia vendetta finalmente stava per compiersi.

Eccola qua, sfigati! Una console talmente maschia che quando tutta l’attenzione si è distolta dallo stronzo privilegiato di turno, questo esordiva con voce tremolante “Eh, ma il Game Boy si vede meglio”… anche se non lo avevo ancora acceso. E tu, in mezzo al disorientato silenzio degli altri bambini che iniziavano a porsi domande su quale fosse la migliore, non potevi fare altro che riportare l’ordine nel gruppo tirando allo stronzo una bidonata con il tuo R-Zone Super Screen ad altezza cervelletto che boh, il Game Boy si vedeva effettivamente meglio, ma tanto lui non avrebbe mai più visto nulla in vita sua e quindi il problema neanche si sarebbe posto e, vedendo i danni procurati, nessun altro avrebbe proprio avuto il coraggio di porseli in futuro.

Cazzate a parte, si ride e si scherza sulla vita che mi è tornata in mente di recente, come un flashback prima della morte quando, rovistando tra le vecchie cose rimaste nello scantinato dopo il trasloco, ho messo nuovamente le mani su quella besta e mi sono lasciato andare a un momento di puro testosterone. Insomma, giusto per farci qualche risata… che mi auguro vi siate fatti, anche perché io avrei poco da ridere, dal momento che mi son potuto permettere un Game Boy insieme a Pokémon Rosso solo mettendo da parte le paghette e comprandolo “di tasca mia”. Ma, detto sinceramente, mai una volta in vita mia mi sono pentito di ciò che mi hanno regalato e ancora oggi ci ripenso con tanta nostalgia e tanta voglia di ritrovare il cavo di alimentazione (anche perché non so se le pile torcia di tipo D le fabbricano ancora) per farmi nuovamente una partita e perdere qualche altra diottria.

Prestigiatore, ballerino di break dance, produttore cinematografico, traduttore ufficiale di frasi imbarazzanti per prodotti R18, fondatore di Akiba Gamers: un curriculum da fare invidia a Johnny Sins, ma che non regge il confronto con la sua smodata passione per i giochi d’importazione e per i tegolini.