Danganronpa 1•2 Reload – Recensione

In attesa del terzo episodio, la saga di Danganronpa sbarca su PlayStation 4 con una raccolta dei primi due capitoli. Pronti ad affrontare la disperazione?

Danganronpa 1•2 Reload - Recensione

Danganronpa 1•2 Reload - RecensioneLa Hope’s Peaks Academy è un istituto sovvenzionato dal governo e incaricato di addestrare i più talentuosi giovani del Giappone. Makoto e Hajime non hanno alcun talento particolare – non che Hajime se ne ricordi, almeno – e l’ammissione è quanto di più impensato potesse loro capitare. Arrivati alle soglie dell’accademia, i protagonisti si ritroveranno intrappolati in un gioco malato a metà fra Dieci Piccoli Indiani e Battle Royale. Benvenuti all’inferno.

L’eterna battaglia fra bene e male scomoda spesso metafore blasonate per esprimersi. Danganronpa ha scelto come icone di questo conflitto concetti quali speranza e disperazione, uniche forze in grado di rappresentare il vissuto di un qualsiasi studente dotato di ambizioni e responsabilità. La serie sviluppata da Spike Chunsoft porta in scena una realtà vicina a quella che è l’immagine della nostra società, in cui valori quali speranza, amicizia e solidarietà sono spesso ostacoli nella lotta per la sopravvivenza: nel mondo in cui tutti van di corsa, a emergere non è la serenità ma il talento, l’egoismo – seppur non si sia ancora arrivati ad uccidersi l’un l’altro. È innegabile che l’omicidio e la violenza sortiscano un impatto notevole nell’immaginario collettivo, ed è per questo che il romanzo di Koushun Takami ha riscosso così tanto successo, scomodando metafore forti per esprimere quella che senza alcun dubbio può intendersi come la reale corsa all’oro del nostro tempo.

Danganronpa si fa carico di tutto questo trascorso e propone una favola malata molto più vicina a quelli che sono i canoni preferiti dei videogiocatori nipponici, con studenti liceali a far da protagonisti e colpi di scena devastanti a scandire il ritmo della narrazione.

  • Titolo: Danganronpa 1•2 Reload
  • Piattaforma: PlayStation 4
  • Genere: Avventura, Visual Novel
  • Giocatori: 1
  • Software house: NIS America
  • Sviluppatore: Spike Chunsoft
  • Lingua: Inglese (testi, doppiaggio), Giapponese (doppiaggio)
  • Data di uscita: 17 marzo 2017
  • Disponibilità: retail, digital delivery
  • DLC: nessuno
  • Note: disponibile in edizione limitata sullo store online di NIS America

La serie di Takami nasce su PSP nel 2010 e diventa subito un esponente di prestigio del genere a cui appartiene. La fanbase che viene a crearsi è forte, fomentata com’è dalla minuziosissima caratterizzazione di vicende e personaggi. Il riscontro tanto positivo in patria spinge Spike Chunsoft a dar vita a un enorme universo narrativo, composto in prima istanza da un sequel e da vari spin-off nelle vesti di anime, manga e light novel. In occidente giunge solo nel 2014, atterrando su quella sfortunata PlayStation Vita che non le permette di brillare come dovrebbe. Con l’arrivo di entrambi i porting sulla console principale di Sony, la speranza della software house era quella di allargare ancor di più il bacino d’utenza, in attesa di un terzo capitolo capace di sancire un nuovo arco narrativo.

Despair is Contagious

Diplomarsi alla Hope’s Peak Academy significa sistemarsi a vita, ed è per questo che vengono selezionati solo quindici studenti l’anno per partecipare alle lezioni. Makoto Naegi non immaginava che la sua candidatura sarebbe stata presa sul serio, privo com’è di un qualsiasi talento. Hajime Hinata invece ci credeva, anche se fatica a ricordarsi perché. Sono loro le menti attraverso cui vivremo le vicende del killing game ordito da Monokuma, un orsetto di peluche emotivamente instabile che intrappola gli studenti nell’accademia e li costringe a uccidersi l’un l’altro per scappare. Il killer dovrà poi sopravvivere al processo di classe, in cui gli studenti discuteranno per decidere democraticamente chi fra loro è il colpevole: se verrà individuato, il colpevole sarà punito; ma se uno qualsiasi degli innocenti dovesse venire accusato, sarà giustiziato tutto il gruppo, e il colpevole potrà lasciare l’istituto. Addentrarsi ulteriormente nella trama di Danganronpa sarebbe oltremodo oltraggioso nei confronti di qualsiasi lettore.

La sceneggiatura, la trama e i personaggi compongono quel diorama perfetto che è il comparto narrativo della produzione: ogni prova, ogni stringa di testo e sussulto avrà il suo valore documentario; ogni personaggio il suo impatto emotivo; ogni vicenda il suo perché. Danganronpa si prende tutto il suo lungo tempo per raccontarsi, e se da un lato a giustificarlo può intervenire il genere a cui appartiene, dall’altro scoraggia una localizzazione per l’ennesima volta assente per una struttura così devota allo storytelling. Si legge parecchio: non aspettatevi un qualche tipo di gameplay approfondito, fra le visual novel non ne troverete, e se vi perderete un qualsiasi accenno alla ricostruzione della matassa in corso, guai per voi. In tal senso, Goodbye Despair è il punto più debole del pacchetto, vittima di una fastidiosa sensazione di “more of the same” nascosta fra le pieghe di qualche personaggio, di un ritmo meno organico delle vicende e di una ricostruzione a volte forzata dei processi di classe. Parliamo comunque di un comparto narrativo di ottima fattura, capace di gestire ottimamente un così gran numero di personaggi e intrecci in funzione dell’enorme lavoro di approfondimento dei personaggi.

Un libro interattivo

Come già accennato, Danganronpa appartiene a quel genere visual novel i cui gameplay sono per definizione essenziali: interagire in giochi del genere significa solamente procedere nei dialoghi, muoversi attraverso gli scenari ed eseguire semplici minigiochi. Non deve dunque sorprendere che non faccia parte dell’esperienza un sistema di gioco chissà quanto articolato. Girovagare per le stanze alla ricerca di prove risulterà spesso noioso e unicamente volto all’attesa del prossimo dialogo atto a rilasciare la prossima informazione e così via. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: in Danganronpa si legge, si legge e si legge. Una volta compresa e giustificata la natura del genere, il titolo apparirà ai vostri occhi in tutto il suo splendore: un gameplay totalmente devoto al racconto che propone meccaniche la cui stimolazione non prescinde mai dalla mera logica: è tutto un grande enigma, dai personaggi ai processi di classe. Questi racchiudono minigiochi di vario tipo, dal rythm al simil-shooter, in cui esaminare le argomentazioni delle diverse prove prese in esame e “spararle” per confutare o avvalorare le ipotesi. Se Trigger Happy Havoc risulta offrire una ritmo tutto sommato semplice dell’azione, Goodbye Despair investe molto di più sul mero gameplay, offrendo chicche quali accumulazione di esperienza, collezionabili e ulteriori minigiochi anche esterni ai processi di classe. Tale zelo è spesso invadente, specie nei processi, pregni di una struttura sì molto più profonda ma inutilmente complicata – ad esempio la meccanica Truth Blade, in cui creare slash con la levetta analogica destra e confutare tesi che non si avrà il tempo di leggere. Rimane sicuramente più divertente da giocare del primo episodio, la cui struttura così improntata allo storytelling lasciava poco spazio a quelle meccaniche RPG appena accennate di sviluppo delle abilità, la cui crescita risultava spesso fin troppo arbitraria e casuale.

The Ultimate Porting Student

Danganronpa fa della tensione costante la chiave del suo successo. Da ottimo giallo qual è, pone la paura della morte dietro ogni angolo, gli omicidi nell’aria, il cadavere di un amico che aspetta alle soglie della prossima stanza e ogni prova, ogni teoria si insinua tanto nella mente dei personaggi quanto del giocatore, che non può fare a meno di rimanere invischiato nelle intricate vicende della Hope’s Peaks Academy. Un’atmosfera difficile da realizzare senza l’ausilio di un’art direction adeguata: i disegni, il doppiaggio, i modelli dei personaggi e i siparietti di Monokuma, la colonna sonora ad accompagnare l’incedere e a scandire precise situazioni, precise emozioni che non tarderanno a divenire familiari ai vostri occhi. Un lavoro estetico encomiabile, se se ne tiene fuori l’aspetto tecnico, che straborda di incertezze tecniche: un aliasing evidente su bordi e dintorni, un sistema di controllo non aggiornato per piattaforma di arrivo e ancorato ancora al sistema PSP, una qualità infima delle texture di tutti gli oggetti non fondamentali e filmati spesso in bassa risoluzione. Un lavoro di restauro pigro anche nelle reali innovazioni del porting, assenti completamente rispetto alla versione PlayStation Vita, che almeno introduceva modalità “what-if” con cui ampliare l’offerta.

A chi consigliamo Danganronpa 1•2 Reload?

Consigliamo Danganronpa 1•2 Reload agli amanti delle visual novel che non hanno avuto il piacere di giocarci, agli amanti dei thriller e delle battle royale, dei manga la cui violenza visiva non si esaurisce in sterili mazzate ma si esprime in un contesto in cui è la disperazione a dominare. Lo consigliamo anche a chi cerca di approcciarsi per la prima volta al genere, a chi ha voglia di godersi un’esperienza con calma, a chi è disposto a sacrificare il suo tempo per ampliare il proprio bagagli culturale con uno dei migliori esponenti del suo genere. Non lo consigliamo a chi pensa che gli story-driven siano poco attraenti: andate in pace.

  • Trama meravigliosa
  • Personaggi estremamente caratterizzati
  • Stile impeccabile
  • Due giochi in uno

  • Assenza di localizzazione
  • Gameplay ridotto all’osso
  • Lavoro di restauro da rifare
  • Nessuna novità per chi li ha già giocati
Danganronpa 1•2 Reload - Recensione
4

Una disperazione di porting, un capolavoro di narrativa

Danganronpa è un gioco difficile da digerire per gli aspetti intrinseci del suo genere: scegliere di giocarci è assumersi un impegno perché, come in ogni giallo che si rispetti, perdersi un passaggio significa impazzire. Rimane da chiudere entrambi gli occhi su una realizzazione tecnica davvero approssimativa, un porting che, pur non influenzando la qualità della narrazione, non propone nessuna ulteriore miglioria tecnica e si qualifica come decisamente pigro. Superati questi grandi scogli, la serie creata da Spike Chunsoft è un mondo in cui si merita di affogare e riemergere con mezza faccia bianca e mezza nera, una storia di valori e cinismo, di quindici piccoli indiani che s’ammazzano fra di loro per tornare in un mondo che non guarderanno mai più allo stesso modo; l’eterna battaglia fra bene e male dentro di noi, fra speranza e disperazione.

Ha sconfitto Cortex prima ancora di cominciare a parlare. Ama i videogiochi a 360 gradi, ha un canale YouTube dove si diverte a mettersi in ridicolo e continua a farsi bullizzare dalla PC master race perché è nato e morirà console gamer.